La norma sulla tassazione delle plusvalenze da criptovalute, indigesta alla Lega fin dal primo giorno. Così come il ritorno del canone Rai a 90 euro, con il venir meno dello “sconto” ampiamente rivendicato da Matteo Salvini lo scorso anno. Le pensioni minime aumentate di soli 3 euro al mese, che tormentano Forza Italia insieme alla web tax che invece dei “giganti del web” colpirà pmi e giornali online e alla sugar tax destinata, senza modifiche, a entrare in vigore nel 2025 dopo anni di rinvii. Per non parlare del taglio delle tasse al “ceto medio” attraverso una riduzione dell‘aliquota Irpef del 35%. La manovra arrivata in Parlamento solo mercoledì scorso (qui lo speciale) sembra non piacere nemmeno alla maggioranza. Che già auspica una lunga serie di modifiche al testo firmato dal ministro leghista Giancarlo Giorgetti.

Già mercoledì scorso, poco dopo l’invio del ddl alla Camera, il vicepremier Antonio Tajani ha fatto sapere che il testo avrebbe potuto essere “migliorato”, richiesta ribadita venerdì. I tasti dolenti? Innanzitutto le pensioni minime, poi l’allentamento della pressione fiscale per i ceti medi con la richiesta di abbassare da 35 a 33% il secondo scaglione Irpef e di allargare la platea alzando il tetto da 50mila a 60mila euro. A non piacere al numero uno di Forza Italia è pure il blocco del turnover, in particolare per le forze dell’ordine. Un punto sul quale i sindacati di polizia hanno fatto sapere di aver avuto rassicurazioni da parte del ministro Matteo Piantedosi.

Lunedì mattina poi Maurizio Gasparri, capogruppo di FI al Senato, ha garantito in un’intervista a Qn un intervento in Parlamento “per modificare la versione della web tax contenuta nella manovra”. Dopo un attacco ai “troppi addetti alle relazioni istituzionali delle big tech che fanno azioni di lobby sui miei colleghi parlamentari”, Gasparri ammette che “è vero che la global minimum tax ha consentito, fino a ora, di incassare poco meno di 400 milioni di euro, un granello rispetto al fatturato miliardario delle grandi aziende”, ma “nello stesso tempo non possiamo colpire le piccole tv digitali o i gruppi editoriali solo perché hanno un sito web. Capisco, perciò, l’amarezza e lo stupore degli editori. La web tax deve colpire i grandi operatori del web che non solo non pagano le tasse, ma fanno concorrenza sleale rubando le notizie alle aziende editoriali”. Auspicio finale: “Dobbiamo togliere a Bezos per dare di più a pensionati e contribuenti”. Vasto programma.

Dal fronte del Carroccio, il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon ha fatto sapere che la parte della manovra sulla flessibilità in uscita verso la pensione “non è la riforma della Lega” e in attesa di “una riforma più equa nei prossimi anni” serviranno miglioramenti in Parlamento, per esempio “sulla previdenza integrativa“. Nel testo approvato dal governo non compare l’introduzione di un nuovo semestre di silenzio assenso né la possibilità di utilizzare i fondi integrativi per l’assegno necessario per chi è nel sistema contributivo e vuole anticipare il pensionamento rispetto ai 67 anni.

Problema: il ‘tesoretto’ parlamentare per le modifiche al momento si ferma a 120 milioni e l’input del governo è quello, come sottolineato anche nei giorni scorsi dal ministro per i Rapporti sul Parlamento Luca Ciriani, di “limitare gli emendamenti”. Niente “modifiche sostanziali“, frena anche il responsabile economico di FdI Marco Osnato, solo “miglioramenti plausibili e sostenibili”. Molto dipenderà dal gettito del concordato biennale che si chiude il 31 ottobre, che pare però destinato al flop. Se arrivassero fondi freschi l’indicazione – prevista anche nel decreto fiscale – è quella di puntare all’abbattimento delle tasse, a partire dall’Irpef. Ma la Lega come è noto vorrebbe anche un ampliamento della platea della flat tax.

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