Un maxi-definanziamento, il più pesante tra quelli previsti nella legge di Bilancio varata dal Consiglio dei ministri: oltre 4 miliardi e mezzo di euro di sforbiciata in sei anni – di cui 562 milioni nel solo 2025 – al fondo destinato al sostegno dell’automotive e alla riconversione di una filiera che conta oltre 270.000 addetti diretti. Una riduzione dell’80% della dotazione precedentemente prevista, pari a 5,8 miliardi. È la sorpresa di fronte alla quale si sono ritrovati i sindacati metalmeccanici e le imprese del settore nello spulciare la manovra del governo Meloni. La scelta dell’esecutivo arriva in un momento critico per l’indotto dell’auto, asfissiato dalle scelte di Stellantis di allentare la produzione in Italia con i primi nove mesi dell’anno chiusi con un calo di oltre il 30% di veicoli prodotti rispetto allo stesso periodo del 2023. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso si prende qualche ora prima di commentare con una nota che non chiarisce nulla: “Siamo impegnati a garantire che la filiera dell’automotive abbia gli strumenti necessari per affrontare la sfida della transizione”, scrive. “Tutte le risorse andranno sul fronte degli investimenti produttivi con particolare attenzione alla componentistica che è la vera forza del Made in Italy”.

Il super-taglio previsto in Manovra
Il definanziamento è nero su bianco nel terzo tomo della manovra, quello con gli stati di previsione dei vari ministeri. Colpisce il fondo per la transizione verde, la ricerca, gli investimenti del settore automotive e per il riconoscimento di incentivi all’acquisto di veicoli non inquinanti, che sta sotto il cappello “Politiche industriali, per la competitività, il Made in Italy e gestione delle crisi d’impresa”. Creato sotto il governo Draghi, è gestito dal ministero delle Imprese e del made in Italy. L’autorizzazione di spesa iniziale era di 762 milioni per il 2025, oltre 1 miliardo per 2026 e 2027 e 3 miliardi dal 2028, subisce una riduzione di 562 milioni l’anno prossimo, 812 l’anno nel biennio successivo e 2,4 miliardi tra 2028 e 2030. Risultato: restano solo 1,2 miliardi, di cui 200 milioni per il 2025. È il singolo taglio più severo tra quelli subiti dai programmi dei ministeri, al netto della riduzione del fondo per l’attuazione della delega fiscale e di quello alimentato dalle maggiori entrate da riduzione strutturale dell’evasione che però “nascono” per essere svuotati e alimentare le coperture della manovra. In parallelo, il Mimit si vede rifinanziare un nutrito pacchetto di interventi in materia di difesa: +440 milioni ai “programmi tecnologici per la difesa aerea“, +325 per l’acquisizione delle fregate Fremm di Fincantieri con Leonardo, +157 per la difesa nazionale nel settore marittimo.

La preoccupazione dei sindacati
“In un momento in cui l’intero comparto si trova in una fase di profonda trasformazione e crisi, risulta fondamentale un forte sostegno per garantire la competitività del settore, la difesa dell’occupazione e l’innovazione tecnologica, indispensabile per affrontare le sfide del futuro”, commentano in una nota congiunta i segretari generali Michele De Palma (Fiom), Rocco Palombella (Uilm) e Ferdinando Uliano (Fim) esprimendo “profonda preoccupazione” per la scelta del governo che “ignora” le “richieste” del settore e dei 20mila lavoratori che hanno partecipato allo sciopero unitario del 18 ottobre a Roma. “Questa mobilitazione, anziché trovare ascolto e una risposta positiva, è stata seguita da un provvedimento che va nella direzione opposta a quella auspicata, mettendo a rischio il futuro di migliaia di famiglie e la sopravvivenza di una filiera strategica per il Paese”, attaccano i leader metalmeccanici. La richiesta è di “ripristinare” i 5,8 miliardi del fondo e di “incrementarli”, ribadendo inoltre “l’urgenza di una convocazione ufficiale da parte della Presidenza del Consiglio” dei vertici di Stellantis e delle aziende della componentistica. Da Chigi al momento nessun segnale, se non l’usuale convocazione – per lunedì prossimo alle 15:30 – per discutere di tutta la manovra.

Lo “sconcerto” delle imprese
Di “sconcerto” per la scelta del governo parla dal canto suo l’Anfia, l’associazione che riunisce le imprese del settore compresi i produttori di componentistica e i loro fornitori: “L’automotive è il principale settore manifatturiero italiano, conta oltre 270.000 addetti diretti, ha un fatturato di oltre 100 miliardi di euro ed è l’unico a cui è richiesta una trasformazione obbligatoria epocale in pochi anni”. Il taglio, sottolineano, arriva in un momento in cui si incrociano le difficoltà della transizione verso l’elettrico e il calo dei volumi delle auto prodotte in Italia da Stellantis, un mix che sta mettendo “seriamente a rischio la sopravvivenza di un’eccellenza italiana”. Per questo, aggiunge l’Anfia, definendo la revisione del fondo un “inaccettabile fulmine a ciel sereno”, sarà necessario “vedere fortemente ridotto il taglio” nell’iter di approvazione della manovra in Parlamento: “In caso contrario, questo tragico ridimensionamento delle risorse segnerebbe una profonda frattura nella fin qui ottima collaborazione tra la filiera e il governo”. Protesta anche Motus-E, associazione che punta a promuovere la mobilità elettrica: “Comprendiamo e condividiamo lo sconcerto manifestato in modo trasversale nella filiera e auspichiamo che si attivino immediatamente tutte le interlocuzioni del caso per fermare questa distrazione di fondi indispensabili per proteggere lavoratori, industria e consumatori”.

La mossa nel pieno della crisi
La revisione del fondo da parte del governo arriva nell’anno più tragico dell’auto italiana e alla vigilia di un 2025 che si prevede altrettanto difficile, soprattutto se Stellantis dovesse perseguire l’idea di ridurre la produzione di auto a benzina e diesel per evitare le multe Ue sulle emissioni medie dei veicoli. Nei primi 9 mesi del 2024 in Italia si sono prodotte 237.700 auto (-40,1% sul 2023) e solo grazie a numeri decenti dei veicoli commerciali il calo è stato contenuto al 31%. L’eventuale prosecuzione di Stellantis nel suo intento e il taglio del fondo da parte del governo spingerebbero, con ogni probabilità, a nuovi ammortizzatori sociali e a un terremoto nelle aziende della componentistica, già strozzate dal calo delle commesse e dai margini sempre più ridotti. Intanto il comparto soffre anche nel resto dell’Ue: è di oggi la notizia che Volkswagen per la prima volta nella sua storia chiuderà almeno tre fabbriche in Germania mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro.

Pd: “Totale delegittimazione del ministro Urso”
La notizia del definanziamento scatena le opposizioni. “Una scelta assurda, uno schiaffo in faccia all’industria e ai lavoratori del settore automotive e una totale delegittimazione del ministro Urso, che farebbe meglio a valutare se ha ancora senso la sua permanenza al Mimit“, dichiarano Antonio Misiani e Annalisa Corrado della segreteria nazionale Pd, che sottolineano la “distanza abissale tra l’industrialismo a chiacchiere del governo Meloni e le scelte concrete dell’esecutivo, fortemente penalizzanti per il sistema produttivo italiano”.

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