Si sta ricominciando a usare con una certa frequenza il termine “Galacticos” a proposito del Real Madrid e lo sbarco di Kylian Mbappé tra i Blancos non è casuale nel revival. Del resto, quando una squadra aggiunge un campione come l’attaccante francese a un impianto base in cui trovi gente come Vinicius, Bellingham, Rodrygo, Modric e il meno reclamizzato Valverde, il déjà vu è quasi scontato. Le logiche di quell’epoca, in teoria, oggi dovrebbero essere superate, soprattutto dopo essere rimasti scottati da alcune delusioni, ma nel calcio mai dire mai. Lo slogan “Galacticos”, tanto per rinfrescare la memoria, accompagnò il Real di Florentino Perez prima maniera (2000-2006). Conquistarono una Champions (2002, straordinario gol di Zidane nella finale vinta 2-1 contro il Bayer Leverkusen), una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Uefa, due campionati e due Supercoppe di Spagna. Florentino Perez lasciò nel 2006, ma tornò in pista nel 2009, sempre con il chiodo fisso di diventare il dirigente più importante della storia madridista, ma con una filosofia che si potrebbe definire più “sportiva”, ovvero l’acquisto di giocatori top funzionali al progetto. Con Mbappé, inseguito dal 2021, il rischio di tornare all’era dei Galacticos appare però reale. Anzi, Real.

Mbappé ha sempre dato il meglio di sé remando lungo la corsia esterna di sinistra. Non ha i movimenti e la testa da centravanti puro. Non è Lewandowski, per intendersi. Vuole spazio per liberare la corsa, esaltarsi nel dribbling e poi puntare la porta, in profondità o accentrandosi. Il problema è che su quella corsia imperversa, da tempo, Vinicius, l’uomo più Real del momento e campione vero, benché trombato last minute nell’assegnazione del Pallone d’Oro. Inserire Mbappé in un puzzle perfetto, che ha permesso il 1° giugno ai Blancos di alzare la Coppa dei Campioni/Champions numero 15 e a Carlo Ancelotti la quinta da coach, ha rotto qualcosa. Il primo a pagare il prezzo è stato l’inglese Jude Bellingham, costretto a cambiare compiti e posizione: la scorsa stagione ha firmato 23 gol in 42 match, oggi è fermo a quota zero in 8 presenze. A ruota, anche Valverde è costretto ad affrontare talvolta mari sconosciuti: fuori due. Ma poi c’è la questione di partenza, ovvero Mbappé, finito otto volte in fuorigioco nella sfida contro il Barcellona. I media spagnoli hanno puntato l’indice sul francese come maggior responsabile del disastro: vero o sbagliato che sia – in uno sport complesso come il calcio difficile credere alla tesi dell’unico colpevole –, lo scenario a Madrid è questo.

Il tempo trascorso a inseguire Mbappé e le alchimie studiate per collocarlo nell’impianto di gioco del Real hanno poi rimosso un’altra questione delicata: la sostituzione di Toni Kroos. Il tedesco è stato per un decennio il metronomo del gioco madridista. L’uomo dei passaggi chirurgici, con una percentuale di errore vicina allo zero. Non c’è un suo erede e si vede. Non può esserlo Modric, con i suoi 39 anni. Non possono esserlo Bellingham e Tchouaméni, centrocampisti diversi, uno d’assalto, l’altro più difensivo. Il turco Arda Guler è più trequartista. E Valverde, bravissimo, non potrà mai avere le visioni di Kroos. Un pasticcio, insomma.

L’acquisto di Mbappé si è portato dietro il senso dell’invincibilità. L’idea di trionfare a prescindere. E invece il calcio sfugge a queste logiche. Il Clàsico, al netto delle assenze di Courtois, Carvajal e Rodrygo, ha messo a nudo i problemi del Real. Premesso che nel primo tempo la squadra di Ancelotti avrebbe potuto segnare almeno due gol e magari la partita sarebbe andata diversamente, quando finisci dodici volte in fuorigioco significa che l’avversario è stato più abile e più bravo, mentre tu non sei riuscito a trovare le contromisure. Il Barcellona ha colpito con un centravanti vero, il polacco Lewandowski, implacabile nonostante i 36 anni. Ha dominato sulle corsie esterne con un diciassettenne come Lamine Yamal e con un ragazzo maturato tardi come Raphinha. Ha neutralizzato con una difesa impeccabile una coppia straordinaria come quella composta, sulla carta, da Vinicius e Mbappé. Sulla carta, appunto, perché in realtà trovare il modo per farli convivere e liberare un potenziale da 50/60 gol a stagione non è facile. Se poi alle spalle hai perso un direttore d’orchestra come Kroos, l’affare si complica. Siamo a fine ottobre: nulla è perduto, diceva quel tale. Il Real può recuperare nella Liga – ora è a meno 6 dal Barça – e può vivere la sua solita Champions da protagonista, ma rimarcare che ci sono problemi delicati da affrontare, superiori al previsto, non è scandalismo e non deve scandalizzare: è la semplice fotografia della situazione.

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