Le cronache quotidiane di attualità assomigliano in modo palese a bollettini di guerra. Per un fenomeno assai conosciuto di assuefazione ciò diventa come parte dello scenario decorativo delle notizie. Si scivola in ciò che c’è di più terribile nella vita e cioè la ‘normalizzazione’ della violenza armata come unico sistema di risoluzione dei conflitti tra cittadini, classi sociali, Paesi, religioni, culture e interessi. Ad ognuno la sua guerra, verrebbe da dire.

Uno dei segnali inequivocabili di questo fenomeno è rappresentato dalla crescita delle spese militari in tutti i Paesi che se lo possono permettere. Dopo una leggera contrazione delle spese in seguito alla fine della guerra fredda e la provvisoria scomparsa dell’Unione Sovietica, ci si è accorti che rimanere senza nemici era ancora più difficile che averne uno. La guerra globale al terrorismo, l’asse del male, gli stati canaglia e soprattutto la ri-militarizzazione giustificata da questa guerra infinita, hanno implicato l’ennesima corsa ad armarsi di più, meglio e soprattutto prima del nemico. Quest’ultimo, come noto, è ovunque e soprattutto là dove si desidera fabbricarlo. Armi, guerra e paura sono ottimi ingredienti per rilanciare l’economia, controllare i movimenti ‘pericolosi’ e giustificarsi al potere per decenni.

La guerra nel Nord del mondo, il civilissimo Occidente, la guerra infame del Medio Oriente, le guerre nel continente africano, talvolta lontane dagli sguardi indiscreti dei mezzi di comunicazione e la guerra nel Sahel che affonda le sue radici più prossime alla distruzione voluta della Libia, nel 2011. Da questo Paese, in quel momento con un sistema sanitario, educativo, agricolo ed economico tra i più apprezzati in Africa, sono state esportate armi, rabbia e gruppi armati ben formati da anni di addestramento. Altre cause furono concomitanti epperò non slegabili da quanto accaduto prima in Iraq, Afghanistan, Siria e altrove.

Gruppi armati finanziati da chi aveva interessi di farlo si sono gradualmente installati nella zona del lago Tchad e la parte occidentale del Sahel. Antiche rivendicazione autonomiste, l’arrivo di gruppi formati da ideologie salafiste esportate dall’Arabia Saudita, il Qatar e altre entità affiliate, malesseri locali e divisioni latenti, hanno creato una miscela che si è rivelata ‘esplosiva’. Anche perché interessi ideologici, religiosi, politici, commerciali e di potere hanno trovato un terreno propizio nell’assenza dello Stato, la crisi economica e lo smantellamento delle strutture culturali di gestione dei conflitti. Il senso di frustrazione di gruppi etnici e di giovani hanno organizzato il resto.

Sono nati così, strada facendo, l’operazione Serval della Francia poi sostituita dall’operazione Barkhane e fiancheggiata in seguito dalla Cedeao, le Nazioni Unite e l’Unione Europea. La conseguenza di questa saturazione di armi, soldi, militari, interessi divergenti sono stati la moltiplicazione dei gruppi armati e delle economie di guerra. Soldi e guerre vanno bene assieme. Nel mezzo di tutto ciò la gente, i civili, il popolo che, abituato a lottare per la propria quotidiana sopravvivenza, si è visto accerchiato, minacciato ed espropriato del futuro.

E fu così che i militari, in considerazione del peso economico e politico accresciuto in questi ultimi anni, hanno avuto buon gioco nell’installarsi al potere. Non senza la promessa di proteggere i cittadini e liberare una volta per tutte i Paesi dalle forze oscure del male che affliggono la vita politica e sociale di tutti e gli interessi di ciò che contano. Non sappiamo il futuro ma il contesto porta a credere che questo processo non sarà così rapido ed efficace. La conseguenza più palpabile nella vita quotidiana nelle città è la presenza visibile, palpabile della militarizzazione della vita sociale. I manifesti, la retorica del linguaggio.

‘Parole come combattimento, liberazione, mobilitazione popolare cittadina, impegno patriottico, dignità, sovranità non negoziabile, indipendenza totale… la patria o la morte’… la presenza di militari armati e non, in ospedali, aeroporto, strade e controllo del traffico, hanno militarizzato la vita politica e civile della Regione. Per fortuna, con l’arrivo prossimo del vento del deserto chiamato ‘Harmattan’, anche la militarizzazione, come tutto del resto nel Sahel, è di polvere.

Niamey, ottobre 024

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