Economia & Lobby

Ricavi in calo e continue riduzioni delle stime di profitto. Questa volta a soffrire la crisi sono anche i marchi del lusso

Anche i ricchi piangono, o almeno non sorridono, verrebbe da dire. Cosa insolita nella fasi di crisi, a soffrire è anche il lusso, con i (quasi) tutti i suoi marchi per eccellenza in grave difficoltà. Lo scorso mercoledì il colosso francese Kering (marchi Gucci, Bottega Veneta, Balenciaga, Dodo, Brioni ed altri) ha presentato una trimestrale con ricavi in calo del 15% a 3,8 miliardi. Soprattutto ha lanciato il suo terzo “profit warning” in un anno, l’avviso che a fine anno i guadagni saranno peggiori delle previsioni. Nell’ultimo anno le azioni del gruppo hanno perso il 40%. Le vendite di Gucci, che costituiscono la maggior parte degli utili del gruppo, sono crollate del 25%.

Non va molto meglio per l’arcirivale, sempre francese, Lvmh. Titoli giù del 43% in 12 mesi e terza trimestrale dell’anno altrettanto deludente, con ricavi scesi del 5%. Qui i marchi di punta sono Louis Vuitton e Christian Dior ma ci sono anche Fendi, Loro Piana, Tiffany, Bulgari ed altri ancora, per un totale di 75 sigle del lusso che spaziano dalla moda alla gioielleria, dagli hotel agli alcolici. Tutte le principali unità del gruppo hanno mancato le stime degli analisti con vendite in discesa per la prima volta dall’inizio della pandemia.

A capo del gruppo c’è Bernard Arnault, uno degli uomini più ricchi del mondo, la cui fortuna è stata però intaccata dai problemi del gruppo. Può consolarsi con il fatto che lo stesso destino ha riguardato i suoi colleghi-rivali Francoise Bettencourt Meyers e Francois Pinault, a capo di L’Oreal e Kering. La ricchezza cumulata del trio è diminuita quest’anno di 58 miliardi di dollari. Pinault, ha subito il colpo più duro, la sua fortuna si è dimezzata, ora deve accontentarsi di un patrimonio di 22 miliardi di dollari. Arnault ha perso solo 26 miliardi ma siede ancora su un gruzzolo di ben 181 miliardi. I risultati deludenti di L’Oreal, hanno tolto all’ereditiera Bettencourt Meyers 19 miliardi. Le rimangono 81 miliardi.

Ma al di là delle vicende finanziarie individuali, è interessante, poiché insolito, quanto sta accadendo a questi gruppi. Il lusso di solito resiste meglio alle fasi di crisi per ragioni piuttosto intuitive. Gli acquirenti, in gran parte appartenenti a fasce di reddito medio o alte o titolari di patrimoni più o meno ingenti, ne risentono meno. Eppure, questa volta è diverso. A resistere sono soli i marchi particolarmente “alti”. come Hermès che ha avuto dati in crescita e migliori delle attese.

Le vendite sono anemiche anche in Europa e negli Stati Uniti ma tutti puntano il dito contro la Cina. Senza dubbio gli acquisti in quello che è il più grande mercato al mondo sono calati molto. Nel paese asiatico le vendite di Gucci sono crollate ma per altri brand la tendenza non è dissimile.

“La maggior parte dei nostri mercati sta attualmente affrontando sfide economiche, tra cui la Cina continentale“, ha affermato Jean-Jacques Guiony , direttore finanziario di Lvmh, aggiungendo che “la fiducia dei consumatori nella Cina è tornata sul minimo storico raggiunto durante il Covid”. Nel terzo trimestre le vendite del gruppo in Cina sono diminuite del 16% nel terzo trimestre.

Tutti guardano con trepidazione alle misure di sostegno alla crescita che potrebbe mettere in campo il governo di Pechino. Qualcosa è già stato fatto ma senza ricadute particolari per il comparto. “Non c’è alcun miglioramento nei consumi di beni di lusso dopo il recente cambio di politica macro cinese”, si legge in una nota di Citigroup basata sui sul monitoraggio degli acquisti in un centro commerciale di lusso nella Cina orientale durante la vacanza della Golden Week di questo mese.

L’agenzia Bloomberg riporta la testimonianza di Louisa Chen, una professionista della finanza di 35 anni residente a Guangzhou. La donna era solita spendere almeno 10mila dollari l’anno in borse e scarpe, ma nel 2024 ha speso solo 700 dollari poiché il suo bonus al lavoro è stato tagliato del 50%. “La disoccupazione giovanile e la crisi immobiliare stanno erodendo la fiducia dei consumatori cinesi”, ha osservato Armelle Poulou, responsabile finanziaria di Kering.

Qualche beneficio potrebbe arrivate da un’ulteriore riduzione dei tassi da parte della Banca centrale europea che avrebbe anche l’effetto di ridurre la forza dell’euro nei confronti delle monete asiatiche. Per chi compra in yen o yuan significa prodotti europei meno cari. Forse però, al di là delle cose prettamente economiche, c’è anche qualcos’altro, più profondo e transnazionale. Molti osservatori parlano di un’evoluzione dei modelli consumi, dall’oggetto fisico all’esperienza. Semplificando, meno borse e più viaggi e cene al ristorante. Soprattutto i consumatori più giovani mostrano questa attitudine. Intercettare questa evoluzione richiede una trasformazione anche ai marchi del lusso, cosa che non si realizza nell’immediato.