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Al pastore tedesco dell’industriale indiano Ratan Tata una parte del patrimonio da 100 milioni di euro: “Più che un testamento, un gesto di gratitudine”

L'imprenditore non era sposato e non aveva figli, quindi i fratelli erano lì in attesa che arrivasse qualche soldo

Ha scosso il mondo finanziario indiano e mondiale la scomparsa del magnate Ratan Tata, morto a 86 anni. Nel suo Paese si sono svolti addirittura i funerali di stato con la cerimonia che si è tenuta a Mumbai, dove hanno partecipato il ministro agli Interni Amit Shah, in rappresentanza del premier Narendra Modi. Il premier, che era in viaggio verso il Laos, per il summit dei leader Asean-India e East Asia, ha omaggiato pubblicamente la memoria del magnate che ha trasformato il Gruppo Tata in una potenza economica globale. Però c’era anche tanta curiosità attorno al gigantesco patrimonio stimato a ben 100 milioni di dollari.

E il piccolo colpo di scena è avvenuto. Sono tre gli individui che avranno priorità assoluta sull’ingente somma. Anzitutto l’adorato cane, il pastore tedesco Tito, rimasto al suo fianco fino all’ultimo come i due preziosi collaboratori domestici, l’ex cuoco e maggiordomo. L’imprenditore non era sposato e non aveva figli, quindi i fratelli erano lì in attesa che arrivasse qualche soldo, cosa che però al momento non sembra accadrà.

Ma quanto andrà esattamente ai due domestici? L’amico del magnate, Suhel Seth, ha dichiarato al Times Of India: “Non posso dirlo, naturalmente ma diciamo che non dovranno mai più lavorare e sia loro che Tito saranno molto ben accuditi. Questo testamento non è una dichiarazione di ricchezza, ma un gesto di gratitudine per la gioia e le cure che gli sono state date dai suoi animali domestici e dai due più cari aiutanti”.

CHI ERA RATAN TATA? UN MAGNATE CORAGGIOSO – L’arrivo di Ratan Tata al vertice del colosso di Mumbai era coinciso, nel 1991, con la svolta della politica economica del paese e con lo smantellamento dell’economia statalista del premier Nehru. Tata, che veniva da un infanzia difficile e che, anche per la sua laurea in architettura, era stato ritenuto inadatto alla leadership di un’azienda centenaria, in poco tempo stupì tutti.

Con uno stile tutto suo, senza rotture clamorose diede all’azienda la sua impronta indelebile, svecchiando il management, aprendo a nuovi settori, affiancando al core business dell’acciaio, delle auto e delle miniere, catene di hotel, moda, lusso, elettronica. E telecomunicazioni: la Tata Consultancy Services, creata nel 1996 approdò in borsa nel 2004. Tra le mosse più clamorose dei suoi appena vent’anni alla guida della conglomerata, l’acquisto della società britannica di tè Tetley e dell’acciaieria anglo-olandese Corus, la più grande acquisizione di una società straniera da parte di un’azienda indiana.

Nel 2008 il lancio della Nano, l’utilitaria che avrebbe dovuto traghettare la nascente classe media indiana dalle due ruote alla comodità di un abitacolo capace di ospitare tutta la famiglia, fu l’avverarsi di un sogno. Ma il sogno si trasformò in delusione: la piccola automobile, che costava meno di 1200 euro, fu un flop e la sua produzione cessò definitivamente nel 2018. Nel frattempo, con quella che molti interpretarono come una rivincita sul passato coloniale, Tata aveva strappato alla Ford la Jaguar e la Land Rover, era entrato nell’alta gioielleria, nell’alta moda e in partnership con Starbuck aveva portato le caffetterie social nelle metropoli indiane. Fino a tornare al dominio dei cieli, con la low cost Vistara, e la riacquisizione di Air India.