Giustizia & Impunità

“Cos’è quella? La prova di come Berlusconi ha preso soldi dalla mafia”: le intercettazioni degli arrestati della ‘Banda dei dossier’

“Ma cos’è quella roba lì del…di quella trascrizione?”. “Quella è la vera prova di colpevolezza di Silvio Berlusconi di come ha preso i soldi dalla mafia“. Chissà a cosa si riferivano Samuele Calamucci e Massimiliano Camponovo, personaggi di punta della “banda dei dossier“, mentre commentavano al telefono alcuni documenti ricevuti, probabilmente, da un ex carabiniere.

Entrambi sono finiti agli arresti domiciliari perché accusati di far parte di un’associazione a delinquere che effettuava migliaia di accessi illeciti alle banche dati riservate. Almeno secondo l’ipotesi accusatoria della procura di Milano. Per l’aggiunta Alessandra Dolci e i pm Francesco De Tommasi e Gianluca Prisco a guidare la banda era l’ex superpoliziotto antimafia Carmine Gallo e l’informatico Calamucci. Quarantacinquenne di Bollate, periferia nord di Milano, titolare di un diploma da geometra, Calamucci è descritto dagli inquirenti come “il deus ex machina del gruppo di tecnici che rendono possibile gran parte delle attività” della banda dei dossier.

I due soci – L’informatico era socio di Camponovo nella Mercury Advisor Srl, una società d’investigazioni private, che aveva sede in via Pattari 6, a due passi dal Duomo di Milano. Gli stessi uffici erano occupati dalla Equalize di Gallo e di Enrico Pazzali, presidente della Fondazione Fiera, pure lui sotto inchiesta. I rapporti tra i Calamucci e Camponovo sono dettagliati in una maxi informativa dei carabinieri del Nucleo investigativo di Varese. Tra quasi 4mila pagine è riportata anche l’intercettazione in cui i due commentano questa fantomatica “prova” dei rapporti economici tra Berlusconi e la mafia, sempre presunti e mai dimostrati. Ma andiamo con ordine.

L’intercettazione: “Ma quindi non era vittima” – È la sera del 9 maggio 2023 quando Camponovo chiama il suo socio al telefono e lo aggiorna sul lavoro del gruppo. Poi chiede: “Invece… ma cos’è quella roba lì invece del…di quella trascrizione?”. Calamucci capisce subito a cosa si riferisce il suo interlocutore: “Quella è la vera prova di colpevolezza di Silvio Berlusconi di come ha preso i soldi dalla mafia…”. L’investigatore privato reagisce con un’esclamazione: “Wauuu dopo me la leggo anch’io allora…”. Calamucci ride, poi aggiunge: “Non l’hanno mai fatta pubblicare…”. Camponovo sembra incredulo: “Porca miseria… eh roba pesante insomma“. “Si, si, vabbè era giusto, sai quelle letture così da…”, risponde l’informatico. “Ma quindi non era vittima – dice Camponovo – quindi era in affari che diverso”. Calamucci è tranciante: “Esatto: vittima le palle“. “Allora è vero quello che si legge in giro – replica il detective privato – insomma che era proprio in affari…” “Si, si, si…”, sostiene l’altro. Camponovo è stupito del contenuto del documento ricevuto: “Non era… Non era a rischio di sequestro dei figli per cui passava i soldi… sai che c’era”. “Ah… allora no… non so se… se lo vedi all’inizio ma troverai anche il carabiniere nome e cognome del carabiniere, che per casualità conosciamo anche che… ha fatto questa intercettazione in carcere”, dice Calamucci, riferendosi probabilmente all’autore dell’atto che i due stanno commentando.

“Mi ha mandato 200 giga”- Ma qual è il documento che i due commentano mentre sono intercettati? I carabinieri del Nucleo Investigativo di Varese parlano di una trascrizione non meglio identificata. Ma sottolineano che, prima della telefonata intercettata, Calamucci “aveva inviato alcuni dati” a Camponovo, “tra quelli ricevuti da De Marzio e relativi al database del Ros di Milano“. Il riferimento è a Vincenzo De Marzio, un altro detective privato, ex carabiniere del Ros, che secondo le indagini dei militari forniva alla banda di via Pattari “contatti, intelligence straniere, clienti di altissimo profilo, informazioni e documenti riservati nonché un data base esfiltrato a suo tempo di dati di polizia e riservati sottratti con ogni probabilità al database del Ros“. Nelle intercettazioni, Calamucci sembra indicare De Marzio come la fonte dell’atto su Berlusconi: “Eh Vincenzo”, dice a un certo punto. “Pesante ragazzi… e questo da dove arriva dai ragazzi?“, chiede Camponovo. “No questo qua me l’ha dato lui perché facendo due chiacchiere gli ho detto io sono alla ricerca di materiale semi-storico per… per un mio progetto no? Mi avrà mandato 200 giga di roba…”.

L’informatico stratega – Dall’informativa dei carabinieri, dunque, non è chiaro quale sia il documento commentato dai due indagati. Va sottolineato, però, che Calamuci viene definito dagli investigatori come “uno scaltro stratega in grado di generare attorno a sé e ai suoi affari una cortina fumogena che rende di difficile comprensione la moltitudine di attività illecite di cui si rende complice e promotore”. E ancora, proseguono i carabinieri del Nucleo di Varese, “ogni azione che lo contraddistingue è legata alla necessità di mantenere il più stretto riserbo sulla propria rete di contatti, referenze, conoscenze”. Il profilo dell’informatico, i documenti di cui dispone e i commenti che fa al telefono, dunque, vanno analizzati con cautela.

Berlusconi-mafia: quei rapporti mai dimostrati – Soprattutto quando si parla di una questione delicata e controversa come quella che collega Berlusconi a Cosa nostra. Negli ultimi trent’anni, la procura di Palermo ha più volte indagato sulle origini delle fortune dell’ex presidente del consiglio: tutte queste inchieste, però, sono sempre state archiviate. Qualsiasi accusa relativa a rapporti economici diretti tra l’uomo di Arcore e la mafia non è mai stata dimostrata ed è sempre stata smentita. Il boom economico di Berlusconi è da accreditare, dunque, soltanto alle sue capacità imprenditoriali. Agli atti c’è soltanto la sentenza definitiva per concorso esterno di Marcello Dell’Utri: lo storico braccio destro del cavaliere è stato condannato a sette anni di carcere in quanto “garante” di un patto tra Berlusconi e Cosa nostra. Un accordo che prevedeva il pagamento di alcune somme di denaro dal futuro presidente del consiglio ai boss mafiosi, in cambio di protezione per sè e per i suoi familiari. I soldi, in pratica, andavano da Arcore a Palermo. Non viceversa.