Por una cabeza, come nel tango di Carlos Gardel. Marco Bucci ha vinto “per una incollatura”, sancendo il successo dell’operazione di incredibile spregiudicatezza della premier Meloni per oscurare gli effetti devastanti del Totigate, giocando sull’emozione suscitata dall’esibizione del corpo malato del suo candidato, famelico della visibilità a cui si aggrappa. Le cui capacità di gestire il nuovo incarico sono ancora tutte da dimostrare, a scapito del diritto alla pubblica rendicontazione.
Ma chi si azzardava ad avanzare velate critiche all’operazione spregiudicata veniva immediatamente messo a tacere dal coro dei sepolcri imbiancati, al grido ipocrita di “sciacallaggio”. Ma questa è la destra: la banda di feroci arrivisti, avidi e impuniti, che a Genova e Liguria, approfittando della mancanza di controlli e di contrappesi da parte dell’opposizione, organizzava industrialmente la vendita di sanità e ambiente; sta dilapidando cifre faraoniche in spese di grandezza definite “grandi opere”. Contro cui, in assenza di alternative maturate in sede locale, si ergeva la pallida figuretta di un politicante di lungo corso senz’arte né parte; tranne una certa praticaccia deambulatoria nelle penombre di partito.
Eppure il prode Orlando aveva in mano due atout politici preziosi: il lascito di indignazione per l’affarismo portuale scoperchiato dalla magistratura, quantificato dai sondaggi dell’estate nel vantaggio di 10 punti (come ieri ricordava Antonio Padellaro nella maratona di Enrico Mentana), un bacino di consenso potenziale di enormi dimensioni confinato nel non-voto (che alla fine si è rivelato aggirarsi sul 56% del corpo elettorale).
Due carte vincenti immediatamente sprecate dal candidato, prigioniero delle gabbie mentali che da almeno tre decenni hanno ridotto la sinistra a una destra di seconda mano. L’idea balzana che le elezioni si vincono indossando i panni dell’avversario. Tesi sistematicamente perdente, ma che ha consentito ai suoi propugnatori di mirare alla cooptazione nel salotto buono dell’establishment. Il giardino fatato dei responsabili.
Così è stato anche stavolta. Per cui, invece dell’araba fenice “Campo Largo”, la campagna elettorale del centro sinistra si è impantanata in due campi strettissimi: da un lato l’affondamento nella palude destrorsa sperando di raccattarvi qualche voto impancandosi a “uomini del fare”. Però “davvero”. Vedere per credere: l’agenda strombazzata da Orlando riprendeva paro paro tutti i must del totibuccismo: dalla Gronda, che nessuno sa a cosa serva, agli ospedali ristrutturati secondo logiche speculative, alle dighe portuali poggiate sulla sabbia per accogliere due-mega-navi container-due all’anno.
Nell’illusione suicida di sostituire all’originale il proprio camuffamento, visto che la scopiazzatura ha vanificato l’effetto indignazione dei cittadini; di fatto legittimando l’idea di politica affaristica della controparte.
Al tempo stesso – seconda dilapidazione del proprio vantaggio – eliminando dalla propria proposta politica ogni fattore di radicalità che avrebbe potuto smuovere dall’isolazionismo un elettorato deluso dalle overdosi di opportunismo consociativo di questa vita pubblica, in cui la contrapposizione tra destra e sinistra scompare affogata nella marmellata di un unico ceto politico indifferenziato, in cui cane non mangia cane. E qui c’è anche la responsabilità di Giuseppe Conte, che non è quella – rimproveratagli dalle solite anime belle – di aver escluso la presenza tossica del traditore seriale Matteo Renzi; bensì l’avallo dato a una campagna elettorale senza tracce di rinnovamento.
Possibile che le pur appannate antenne di Orlando non percepissero il discredito che avevano suscitato in Liguria i ricorrenti episodi dei dirigenti Pd allettati con cariche societarie molto ben retribuite dal combinato politici-di-maggioranza/padroni-del-porto? Chi ha seguito Report domenica scorsa ne ha potuto apprezzare le mimiche facciali impagabili, quando l’intervistatore domandava le ragioni dei loro plateali conflitti di interessi: dal sorrisetto pacioso per camuffare l’imbarazzo, allo stupore di chi cadeva dal pero dichiarando di non essersi reso conto di dove e da chi era stato assunto. Con il sovrappiù di tracotanza del cattivo maestro Claudio Burlando, che sbuffa infastidito se gli si chiede cosa ci facesse sullo yacht di Aldo Spinelli (ma a Genova sanno tutti chi finanziava il suo circolo paravento politico “Maestrale”).
Ancora più imbarazzante la risposta di Orlando, quando il giornalista gli domanda se non debba prendere le distanze da questi politici bipartisan: “ma sta scherzando? Dovremmo avere solo dirigenti disoccupati?”.
Come disse qualcuno una volta: “con questi dirigenti non vinceremo mai”.