È la Sardegna e non più la Calabria la regione che fa registrare il maggior numero di criticità negli ospedali. Si evince dall’ultima edizione del Programma nazionale esiti (Pne), relativa ai dati del 2023 e presentata oggi a Roma da Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali che monitora ogni anno le strutture sanitarie per conto del ministero della Salute. L’anno scorso il sistema ospedaliero nel complesso ha sostanzialmente recuperato numeri e performance del 2019, prima dello tsunami del Covid, quando peraltro era già in gravi difficoltà. Le disparità permangono ma non solo e non tanto tra Nord e Sud, se infatti Calabria e Sicilia migliorano un po’ il Friuli Venezia Giulia perde qualche colpo. A riprova di come gli Statuti regionali speciali non offrano, di per sé, particolari garanzie.
Siamo e rimaniamo il Paese dei 21 sistemi sanitari regionali, dove centinaia di migliaia di persone viaggiano (quasi sempre verso Nord) per curarsi e con la latitudine variano la speranza di vita (dagli 84,6 anni di Trento agli 81,4 della Campania: media nazionale 83,1, Istat 2023) e la mortalità infantile (Piemonte, Marche, Toscana e Umbria sotto il 2 per mille; Liguria, Sud e Isole sopra il 3, Istat 2021). Ma il quadro degli ospedali è estremamente frastagliato anche a livello infraregionale e all’interno delle strutture, “nella stragrande maggioranza” delle quali, scrive Agenas, “convivono aree di qualità alta o molto alta con aree di qualità di livello basso o molto basso”. Eccellenze e disastri.
Non sono pagelle, quelle del Pne. Sono stati comunque premiati i migliori, che hanno raggiunto livelli alti o molto alti in quasi tutte le otto aree cliniche di riferimento. Quest’anno sono tre: un grande ospedale pubblico universitario come il Careggi di Firenze ha raggiunto l’Humanitas di Rozzano (Milano) e l’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche di Torrette di Ancona, già sul “podio” nel 2023. Due ospedali universitari pubblici e uno privato, che fa anche ricerca ad altissimi livelli.
È il risultato di un monitoraggio articolato dei 1.363 ospedali pubblici e privati convenzionati, analizzati sulla base di ben 205 indicatori anche con il contributo dell’Istituto superiore di Sanità. Ospedali, non ambulatori. Per fare un esempio, solo tre hanno fatto l’angioplastica entro 90 minuti ad almeno l’85 per cento dei pazienti con l’infarto: sono il Barone Romeo di Patti (Messina), l’Ospedale di Treviso e l’Ospedale del Cuore G. Pasquinucci di Massa. Diverse decine di centri clinici, in aumento, sono comunque arrivati al 60 per cento, obiettivo fissato dal decreto ministeriale 70/2015 e raggiunto nel 63 per cento dei casi contro il 57 per cento del 2022. Gli altri però sono ancora indietro, alcuni peggiorano e non solo al Sud. Ovviamente ne va della vita dei pazienti. La mortalità a 30 giorni dal ricovero per infarto è diminuita dal 7,8 al 7,1 per cento in un anno, ma con punte sopra il 10 e anche il 15 per cento e una forte variabilità intra-regionale soprattutto in Molise e Campania.
Per la chirurgia oncologica, specie del colon e del pancreas, ma anche della mammella e della prostata, il Pne segnala ancora nel 2023 un eccesso di interventi in strutture piccole, che danno minori garanzie perché dispongono di una casistica limitata. E ancora, i parti con taglio cesareo tornano a diminuire (al 22,7 per cento) dopo l’inattesa risalita del 2022, ma restano comunque troppi, specie se si considera il calo delle nascite: numerose strutture, specie con pochi parti e private, superano ancora il 40 per cento in Campania, Sicilia, Puglia, Lazio e Lombardia. Solo due Regioni fanno nascere la maggior parte dei bambini in centri privati accreditati: Lazio (56 per cento) e Campania (51 per cento).
Per la frattura del collo del femore negli over 65 l’obiettivo del 60 per cento di interventi entro le 48 ore dal ricovero (sempre fissato dal dm 70/2015) non è ancora raggiunto, siamo però a una media del 59 per cento contro il 53 per cento dell’anno precedente. Qui si distinguono in positivo l’Umberto I di Siracusa, l’Ospedale di Monopoli (Bari), il Pertini di Roma, il San Giovanni di Dio di Agrigento, l’Humanitas Gavazzeni di Bergamo, tutti sopra il 95 per cento di pazienti trattati nei tempi previsti. A fronte di decine di ospedali che raggiungono o confermano il 75 o almeno il 60 per cento, vanno però mediamente male gli ospedali di Calabria, Liguria, Basilicata, Umbria, Molise e Sardegna, dove la maggior parte degli anziani con il femore rotto deve aspettare. La chirurgia protesica (anca, ginocchio, spalla) continua invece a crescere, già dal 2021 i numeri erano tornati ai livelli pre-Covid del 2019: forse anche perché il settore è sempre più dominato dal privato convenzionato.
Quanto all’assistenza territoriale (medici di famiglia, ambulatori territoriali, case della salute ecc), di cui la pandemia aveva mostrato una crisi che tende a peggiorare, il Pne la misura solo indirettamente attraverso i ricoveri per scompenso cardiaco ed altre patologie, ritenuti evitabili, che restano all’incirca stabili, mentre cala lievemente la mortalità a un anno da infarto e ictus, sia pure con ampie differenze territoriali.
Il rapporto integrale è sul sito dell’agenzia, è scritto per gli addetti ai lavori ma con un po’ di impegno ciascuno può vedere come è messo il proprio ospedale di riferimento. Nel complesso Agenas rileva che i volumi di attività e in particolare i ricoveri, al terzo anno dopo la pandemia che li aveva abbattuti del 20 per cento, sono quasi tornati ai livelli del 2019, poco sotto gli otto milioni in dodici mesi (più 300 mila sul 2022). Però risalgono i ricoveri programmati e molto meno quelli urgenti, il che si presta a diverse ipotesi: forse la scarsa propensione al ricovero dai Pronto soccorso, che notoriamente esplodono, per motivi di budget; i più ottimisti invece suggeriscono una maggiore efficacia della prevenzione primaria e secondaria, specie per l’area cardiovascolare. La stessa tendenza al recupero e talvolta al superamento dei numeri del 2019 si registra per gli interventi chirurgici, tra cui quelli oncologici, che probabilmente aumentano anche per effetto degli screening e delle diagnosi precoci.
Agenas sottolinea l’importanza degli audit che vengono avviati a centinaia per risolvere le criticità rilevate dal Pne: 62 strutture grandi e piccole, segnalate un anno fa, le hanno superate. Sette sono passate da livelli molto bassi di aderenza a standard di qualità a livelli alti o molto alti: sono il Maggiore di Bologna, l’Azienda Ospedale Università di Padova, l’Ospedale di Circolo S.L.Mandic di Merate (Lecco), la Casa di Cura Ini Srl di Grottaferrata (Roma), l’Ospedale Mons. R.Di Miccoli di Barletta, l’Ospedale della Valdinievole di Pescia (Pistoia) e l’Ospedale Civile Villa d’Agri Marsicovetere (Potenza).
Per Domenico Mantoan, direttore di Agenas, il Pne “rappresenta ormai da tempo un osservatorio nazionale permanente sulla qualità delle cure in Italia, in grado di offrire agli operatori e ai decisori una panoramica attendibile e aggiornata sulla variabilità dei processi e degli esiti assistenziali” e “potrebbe essere ulteriormente implementato grazie al rilancio del Fascicolo sanitario elettronico e all’istituzione dell’Ecosistema dei dati sanitari”. Vista la metodologia, sembra anche più attendibile di classifiche molto celebrate come quella di Newsweek che si basa in larga parte sul parere degli addetti ai lavori.