Nuovi sviluppi sul caso di Marisa Francescangeli, la maestra della scuola primaria di San Vero Milis (provincia di Oristano) che ad aprile 2023 è stata sospesa per 20 giorni con stipendio ridotto per aver fatto pregare gli alunni, pur non essendo un’insegnante di religione. La maestra aveva impugnato il provvedimento del dirigente scolastico e dell’ufficio scolastico provinciale, ma, come riporta Fanpage, la sezione Lavoro del tribunale di Oristano ha respinto il ricorso.

La giudice Consuelo Mighela ha reputato che le attività svolte in classe dalla maestra non fossero “espressione della libertà di insegnamento, bensì una violazione dei suoi doveri di docente di una scuola pubblica statale e dei principi che la scuola stessa deve assicurare e garantire”, compreso il principio “fondamentale, di laicità dello Stato“. Inoltre secondo le motivazioni di respingimento, la maestra ha “interferito con il diritto-dovere dei genitori garantito dalla Costituzione (articolo 30) di educare i figli, anche da un punto di vista religioso”.

La giudice ha respinto i motivi del ricorso, giudicando la sanzione disciplinare “assolutamente conforme a quanto previsto dalla legge”. Durante l’udienza del 14 giugno, Francescangeli aveva infatti ammesso l’episodio delle preghiere con un piccolo rosario composto da dieci perline, recitando il Padre Nostro e l’Ave Maria. La maestra ha sostenuto che fossero gli stessi bambini a richiederle la preghiera, che veniva recitata in in prossimità delle festività cattoliche.

Inoltre, la docente ha confermato un episodio in cui ha utilizzato “un olio profumato”, descritto nella sentenza come un liquido “a suo dire non benedetto, chiamato olio di Nardo che la docente aveva tirato fuori dalla propria borsa e che alcuni bambini avevano anche usato per ungersi il corpo”, mentre la maestra raccontava “la storia biblica dell’olio portato a Gesù prima della crocifissione e che avrebbe dovuto essere utilizzato per cospargere il corpo di Cristo dopo la morte”.

Secondo la giudice, la sospensione è legittima. La maestra, infatti, “ha ripetutamente posto in essere pratiche di culto estranee alla funzione di docente e alle mansioni assegnatele, in violazione dei propri doveri”. Queste pratiche, si legge nella sentenza, erano inoltre “neppure coerenti con l’insegnamento della religione, pacificamente svolto da un’altra docente dell’istituto scolastico statale presso cui prestava servizio la ricorrente”.

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