Libri e Arte

“Napoli, ti odio”, viaggio nell’anima della città partenopea tra contrasti e contraddizioni

Il nuovo libro di Januaria Piromallo è un'analisi minuziosa, da una parte, e uno sfogo, quasi istintivo, dall'altra. Un bisogno interiore di giustificare il proprio malessere verso una città che, come suggerisce la scrittrice, "in fondo la si ama con le sue incongruenze, con il suo avvolgente spettacolo naturale"

di Claudio Savino
“Napoli, ti odio”, viaggio nell’anima della città partenopea tra contrasti e contraddizioni

Partire e non voltarsi indietro: lasciare la propria casa e tutto ciò che essa rappresenta, le amorevoli cure genitoriali, gli amici di una vita, il conforto di guardare una strada e sapere sempre dove ti porta. Ma è quando ci si volta di 180 gradi verso il proprio passato che ne scaturisce un comprensibile senso di sconforto. Uno dei più classici What If?: “Cosa saremmo potuti essere se non mi avessi costretto a fuggire via?”. È con queste promesse che Januaria Piromallo, scrittrice, conduttrice, giornalista e collaboratrice de Il Fatto Quotidiano, comincia il suo lungo viaggio in Napoli, Ti Odio (Guida Editore), il libro, illustrato da suo figlio, Kamalei von Meister, in cui racconta il suo rapporto con la città dov’è nata e cresciuta, ma da cui è scappata per trovare delle risposte che, oggi, compongono le pagine del suo scritto.

Già a partire dalla prefazione, scritta da Isabella Bossi Fedrigotti, si delinea un racconto di nostalgia e di mancanza, come un sentimento di vuoto nato dalla necessità di trovare la propria strada altrove, pur conservando quella napoletanità in cui Ettore, il personaggio descritto dalla scrittrice, si rifugia per darsi manforte. Ma alla possibilità di lavorare nella città che ama, Ettore risponde con un rifiuto, confermando il suo destino, perenne, da espatriato. “Tale si era sentito, tra malinconia e amarezza, fino alla fine”, sottolinea Fedrigotti. Ciò che ne segue è un amore, verso la propria città, che inizia a confondersi sempre di più con un sentimento di odio che è difficile da estirpare. È la Morte della bellezza, dal titolo dell’introduzione di Nino Daniele, filosofo e allievo di Aldo Masullo: “Un città sospesa che induce tanti, soprattutto giovani, ad andare via ma che consente a troppi di ritagliarsi spazi di sopravvivenza attraverso l’illegalità e il disprezzo”, suggerisce l’ex sindaco di Ercolano. È la fotografia di una Napoli bella, ma morente: amabile e odiabile allo stesso tempo.

Ed è così che il monologo di Piromallo si trasforma in un dialogo: è una conversazione tra Januaria, la napoletana, e Januaria, la giornalista. Tra chi vede la bellezza senza tempo di una città millenaria e chi osserva e analizza il male (e chi l’ha causato) che l’ha fatta sprofondare in un mare di “abusi, scandali, illegalità tollerate e malvivenza istituzionale”. E che non è così facile da debellare. Quasi che viene naturale fuggire per tornarci solo alcune volte, come se servisse ad assolversi da un peccato commesso in primis verso sé stessa, poi verso la città: una scelta più di testa che di cuore. E gli svariati tentativi di ergersi a paladina della giustizia lì dove regna la ‘giustizia fai-da-te’ sbattono sugli insulti che scuotono la visione ottimistica della scrittrice verso una città che fatica a risollevarsi. E che forse neanche vuole: così, i giovani vanno via, perché “a Napoli e in tutto il Mezzogiorno è stata cancellata del tutto l’idea di un futuro per le nuove generazioni”, sottolinea Piromallo. È la Perma-crisis, la sensazione di vivere in perenne incertezza, a rinvigorire quel senso di odio.

Quella che viene tratteggiata nelle pagine di Napoli, Ti Odio, dunque, è un’analisi minuziosa, da una parte, e uno sfogo, quasi istintivo, dall’altra. Un bisogno interiore di giustificare il proprio malessere verso una città che, come suggerisce la scrittrice, “in fondo la si ama con le sue incongruenze, con il suo avvolgente spettacolo naturale”. Perché Napoli, nelle intenzioni di Piromallo, diventa la fotografia imperfetta di un proverbio catulliano: odi et amo.

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