Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, il 25% degli ultra 65enni in Italia rinuncia alle cure per le lunghe liste di attesa, per i costi delle prestazioni e per difficoltà logistiche. A rischio anche la salute di 2,1 milioni di famiglie italiane che vivono nell’indigenza. A questo aggiungiamo la carenza cronica di personale sanitario: nel 2026 oltre 11.400 medici di famiglia in meno e le nuove leve non basteranno a rimpiazzarle. Già oggi il 47,7% dei medici ha in carico più di 1500 assistiti, mettendo in crisi l’accessibilità e la qualità delle cure.
La carenza di medici e infermieri investe anche gli ospedali e le Rsa: mancano all’appello 20.000 medici e 70.000 infermieri.
Le cause? Stipendi bassi e sovraccarico di lavoro che determinano l’abbandono della professione e la scelta di lavorare in altri paesi, tant’è che l’Italia è stata costretta ad importare infermieri indiani, pakistani e cubani che troviamo soprattutto in Calabria e Sardegna. Il percorso formativo di questi professionisti non corrisponde agli attuali standard di formazione in vigenza in tutti i paesi europei e anche le regole di ingaggio con il Ssn sono diverse. Ogni professionista costa alla Regione Calabria circa 6000 euro al mese, di cui solo una piccola parte viene devoluta al medico, il resto viene versato alle agenzie di intermediazione e al governo di Cuba.
L’altro fenomeno sotto la lente d’ingrandimento è quello dei cosiddetti medici a gettone che hanno causato, secondo la Corte dei Conti, costi per la sanità fuori controllo. Non per nuove assunzioni, o ritocchi agli stipendi dei medici che lavorano all’interno del sistema pubblico, ma per commesse andate a cooperative e società private (che di fatto somministrano lavoro medico e infermieristico non sempre adeguato alla specificità richiesta) che hanno raddoppiato i fatturati incrementando l’uso sempre più privatistico delle strutture pubbliche.
Considerate le premesse di cui sopra, ci saremmo aspettati nella manovra del governo sulla sanità qualcosa in più di quanto previsto e dei correttivi urgenti rispetto alle situazioni sopra rappresentate.
La spesa sanitaria rispetto al Pil si attesta al di sotto del 6,2% e ciò non garantisce né i Lea (livelli essenziali di assistenza), né i Lep (livelli essenziali di prestazioni), quantomai urgenti da definire, considerata la legge sull’autonomia differenziata appena approvata che ha acuito ancora di più le diseguaglianze nei diversi territori del paese.
I soldi stanziati non coprono l’inflazione corrente, non bastano a coprire il costo del rinnovo dei contratti del personale sanitario già scaduti da un triennio, non sono sufficienti ad abbattere le liste d’attesa. La narrazione governativa è smentita dalla realtà vissuta da milioni di cittadini che per curarsi sono costretti a mettere mano alla tasca ed è smentita dal disagio dei professionisti della sanità che in maniera unitaria, tramite le loro rappresentanze sindacali, hanno dichiarato lo stato di agitazione e si avviano allo sciopero.
In Svezia, per le stesse ragioni, medici e infermieri hanno scioperato per 79 giorni consecutivi. La nostra legislazione non permette questo, ma speriamo che, una volta tanto, al di la delle diverse sensibilità, si faccia uno sforzo corale, personale sanitario affiancato dai cittadini, per salvare il nostro Ssn.