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Bolivia tra accuse, blocchi stradali, violenze e tentativi di omicidio: il sogno socialista di Morales è diventato una faida

Lo scontro per il potere dentro al Mas – il Movimento al Socialismo, partito di governo in Bolivia – è arrivato ad un punto di non ritorno: domenica 27 ottobre l’ex presidente Evo Morales ha denunciato un attentato contro la sua vita: 14 colpi di arma da fuoco hanno raggiunto la sua auto. Morales ne è uscito illeso ma la tensione, già alta, nel paese ora è alle stelle. Dopo un serrato scambio mediatico tra i due maggiori contendenti si è passati a mobilitazioni, blocchi stradali, scioperi, denunce, repressione, divieti, mandati d’arresto e ora anche ad attentati. Per l’analista politico Marcelo Areguipa “quanto sta accadendo in questo momento nel Mas può essere definito il capitolo finale del suo processo come organizzazione politica, perché sia Evo Morales che Luis Arce non hanno intenzione di rinunciare agli spazi che stanno occupando in questo momento”.

Una sorta di guerra dei Roses in salsa boliviana che sta portando alla distruzione di un progetto politico nato nel nome del cambiamento delle logiche del potere e della difesa delle ultime e degli ultimi così come dei diritti umani e del territorio. Se oggi Luis Arce è il presidente della Bolivia è perchè Evo Morales, nel 2020, ha voluto che lui fosse il candito del Mas e non David Choquehuanca. L’ex ministro dell’economia, considerato il delfino di Evo crea un governo, definito da lui, molto tecnico e certamente distante dall’entourage di Morales, generando le prime reazioni critiche da parte del settore “pro-Evista”. Inizia li lo scontro di potere che sta paralizzando il partito, il governo, il paese e coinvolgendo tutti quei movimenti sociali che negli anni si sono legati, e/o fatti cooptare, dal Mas. Dal “tentato golpe” del giugno scorso la situazione è diventata ogni giorno peggiore, e dalle accuse incrociate si è passati “all’azione”.

Una parte del paese, estranea alle logiche di posizionamento dentro il Mas guarda e osserva. Qui troviamo María Sandra Ochoa Ramos, donna Aymara, attiva nel movimento indigeno delle Ande boliviane, educatrice popolare, ricercatrice di educazione decoloniale e studi critici urbani nonché direttrice dell’Espacio de Crianza Qhantatayita, è associata alla storia di tessitura comunitaria Warmi Huaco, Paka Muyu e al Taller de la Descolonización, che ricorda: “Oggi il Mas è diventato un partito tradizionale. Ha perso la sua direzione e le aspettative delle sue origini. Quando il Mas è emerso, era conglomerazione e strumento politico delle diverse organizzazioni e movimenti indigeni, sociali e operai che lo componevano. Ma da quando sono andati al potere, in particolare dopo il 2009, si sono verificate una serie di rotture interne e anche un totale disorientamento di quello che era stato lo scopo iniziale. Così oggi è diventato solo un altro partito”.

Le “correnti” del Mas sono tre, e sono guidate da Evo Morales, Luis Arce e David Choquehuanca. Tre uomini, tre caudillo, che mostrano come il grande sogno boliviano non è riuscito a liberarsi da logiche di potere patriarcale. Però lo scontro oggi è quello tra l’ala Evista e quella Arcista. Choquehuanquista non rappresenta più un’ala in grado di proiettarsi politicamente e anche la parte indigena che lo sosteneva è disillusa a causa di una serie di decisioni sbagliate. Qualche settimana fa Evo Morales è stato colpito da una grave accusa di stupro. La denuncia è arrivata per per voce del ministro della Giustizia Cèsar Siles che in conferenza stampa ha detto: “Abbiamo osservato con indignazione gravi crimini che non possono rimanere impuniti. Mi riferisco in particolare a una ragazza, una ragazza che è stata violentata a 15, 16 anni”. La femminista boliviana María Galindo ha rincarato la dose durante un’intervista a EFE dichiarando che l’ex presidente boliviano Evo Morales (2006-2019) ha commesso “continui stupri” durante la sua presidenza come “parte dell’esercizio e dell’esibizione del suo potere”, e lo avrebbe fatto con una “serie di giovani dei movimenti contadini e indigeni”. Amelia, attivista per la difesa del territorio, evidenzia che “è il settore di Arce che ha nuovamente messo in circolo le accuse di stupro contro Morales, accuse non nuove, ma evidentemente ora usate a scopo politico, per evitare che Morales si possa candidare alle elezioni 2025. In risposta, Morales è riuscito a paralizzare l’apparato produttivo boliviano promuovendo blocchi di merci e scioperi nel Chapare e poi piccoli blocchi sporadici in zone “eviste”, mi riferisco a comunità legate al narcotraffico nei territori di Oruro e Potosí. L’apparato produttivo è stato paralizzato, ma le dinamiche e la vita quotidiana nelle città non sono state alterate. Questi blocchi, però, avvantaggiano Arce: da più di un anno soffriamo per la carenza di prodotti, compreso il carburante per i veicoli, oltre che di dollari e per l’aumento del paniere familiare di beni. Ebbene, ora per Arce tutte le carenze sono il risultato dei blocchi”.

Amelia aggiunge: “Tutto questo passa anche da una vera e propria guerra mediatica, in cui i media di entrambe le parti, così come quelli di destra, ci mettono del loro. La popolazione vive nell’ansia e nell’indifferenza. La verità è che, come dicono diversi compagni, è necessario ricordare alcune questioni che fanno parte di quello che è stato chiamato il “processo di cambiamento” che dal 2010 hanno segnato il governo del Mas: la repressione delle organizzazioni indigene che difendono i TIPNIS – Territorio Indígena y Parque Nacional Isiboro-Sécure (2011), la brutale repressione delle persone con disabilità nel 2012, i vantaggi concessi alle imprese dell’Agribusiness per l’espansione della frontiera agricola per la monocoltura, l’esportazione di soia e bestiame, la produzione transgenica con sovvenzioni milionarie e gli attacchi contro le popolazioni indigene e gli attivisti che lottano contro le politiche estrattiviste delle mega-dighe, delle miniere illegali (con mercurio) e delle incursioni illegali nei parchi nazionali da parte delle compagnie petrolifere e dei coltivatori di coca”. Però María Sandra Ochoa Ramos vede, nonostante “una situazione di crisi generalizzata non solo a livello economico, ma anche a livello interno, a livello razionale, a livello soggettivo di capacità di capire cosa succederà in futuro, come ci vediamo come Paese, come popolazione”, che esistono possibilità per un futuro diverso. “E’ un momento molto interessante” dice “per ridirezionarsi e riorientarsi, parlo del movimento sociale e indigeno, intorno a ciò a cui avevamo aspirato e sognato come la decolonizzazione e lo Stato plurinazionale. Sono importanti agende politiche da recuperare. Tenendo conto del razzismo recalcitrante, ancora evidente, così come di questo tipo di politica dominante e disumanizzante. Penso che ci sia lo spazio per generare una nuova interessante frattura per poter ripensare noi stessi”.