Si terrà l’11 dicembre prossimo, davanti alla gup del Tribunale di Bologna Roberta Malavasi, l’udienza preliminare sulle richieste di rinvio a giudizio presentate dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna nei confronti di dodici persone, tra le quali spiccano i nomi di Giuseppe Vezzani e Marcello Coffrini, due ex sindaci di Brescello. Si tratta del primo comune in Emilia-Romagna che nel 2016 subì il commissariamento per il rischio di infiltrazione mafiosa, a seguito delle indagini sulla cosca Grande Aracri sfociate nel processo Aemilia.
Vezzani e Coffrini dovranno rispondere dell’accusa di concorso esterno alla ‘ndrangheta. Per decenni i clan originari di Cutro hanno fatto il bello e il cattivo tempo nel paese di Peppone e Don Camillo. La richiesta, firmata dalla sostituta procuratrice Beatrice Ronchi e dal procuratore di Bologna Francesco Caleca, si arricchisce di altri nomi noti alle cronache. In particolare, due coppie di fratelli, già in carcere per le condanne definitive del processo Grimilde. Da un lato Rosita e Salvatore Grande Aracri, figli di Francesco e nipoti del boss di Cutro Nicolino; dall’altro Giuseppe e Albino Caruso. Il primo era funzionario dell’Agenzia delle Dogane e presidente del consiglio comunale di Piacenza, con la casacca di Fratelli d’Italia, al momento dell’arresto nel 2019.
Di segno politico opposto gli ex sindaci Vezzani e Coffrini che sono accusati di avere, in concorso tra loro e grazie alla “continuità politica” nella gestione del comune, svolto i propri doveri di amministratori pubblici non nell’interesse della comunità e dei cittadini di Brescello, ma nell’interesse “del sodalizio mafioso o di alcuni suoi esponenti di vertice”, contribuendo al rafforzamento e all’espansione sul territorio comunale della cosca emiliana di ‘ndrangheta.
Gli altri indagati per i quali viene chiesto il rinvio a giudizio sono Devid Sassi, Mauro Usuardi, Claudio Bologna, Pascal Varano, Paolo Pucci e Leonardo Villirillo. Per tutti sono contestati specifici commi del 416 bis: associazione di tipo mafioso.
Giuseppe Vezzani è stato sindaco di Brescello per dieci anni, dal 2004 al 2014. In precedenza per cinque anni era stato assessore all’Urbanistica e ai Lavori Pubblici nella giunta guidata dall’avvocato Ermes Coffrini. Il figlio di Ermes, Marcello Coffrini, è stato sindaco solamente dal 2014 al 2016 ma aveva già lavorato a stretto contatto con Vezzani almeno dal 2008 al 2014, con diversi incarichi da assessore. Dodici anni di continuità politica, alla guida della lista civica “Insieme per Brescello”, nata come costola del Pds, nelle cui fila militava il vecchio sindaco Ermes Coffrini, primo cittadino dal 1995 al 2004.
Suo figlio Marcello e l’altro sindaco Vezzani, secondo la Dda, non hanno mai preso alcuna iniziativa, durante i rispettivi mandati, per tentare di contrastare l’abusivismo edilizio nel comune praticato da noti esponenti della cosca.
Secondo i pm deliberatamente i due sindaci non hanno mai collaborato con la Polizia Municipale o con l’Ufficio Tecnico per porre un freno agli abusi; hanno anzi consentito e sostenuto l’affidamento di lavori pubblici a ditte riconducibili alla ‘ndrangheta. Per l’accusa i due politici operavano e guidavano le scelte in palese contrasto con il Codice degli Appalti Pubblici, appoggiando le pratiche amministrative e gli interventi urbanistici proposti dagli stessi soggetti, ai quali riservavano corsie preferenziali nell’assegnazione di immobili e incarichi lavorativi. E in più – prosegue l’ipotesi accusatoria – lo facevano per tutelare gli interessi della cosca e dei suoi uomini di vertice, per rafforzarli, per consentire loro l’espansione nel territorio.In cambio ottenevano voti per la loro lista. Preferenze controllate e garantite dalla cosca, non solo tra i cittadini d’origine calabrese.
Tra i diversi fatti specifici contestati a Vezzani e Coffrini c’è la variante urbanistica al Piano Regolatore che ha consentito la nascita del quartiere denominato Cutrello, dove hanno fatto affari diverse famiglie di ‘ndrangheta. C’è l’occupazione abusiva dei Grande Aracri di un’area demaniale che il Comune non ha mai contestato. Ci sono la concessione di modifiche urbanistiche in spregio dei vincoli ambientali, gli alloggi gratuiti assegnati a chi non possedeva i titoli per averli, le varianti che consentivano a società immobiliari guadagni esagerati, l’assunzione di parenti per incarichi pubblici.
Tra le contestazioni pure la negazione del problema; il ripetuto slogan “la mafia non esiste” o, se esiste, “non dimora certo a Brescello”, che entrambi i sindaci hanno declamato e ripetuto. A partire dall’ormai celebre, seppur solo a livello locale, video intervista dell’associazione Cortocircuito: Coffrini elogia il capo mafia Francesco Grande Aracri e lo saluta cordialmente. O ancor prima, nel 2009, quando all’indomani della sentenza definitiva di Edilpiovra e dell’arresto di Francesco Grande Aracri, il sindaco Vezzani firmava un volantino in cui si definivano “una offesa ai cittadini di Brescello, un attacco condito di tante e tali sciocchezze che si commentano da sole” gli articoli di stampa che parlavano del caso.
Le conclusioni della sostituta procuratrice antimafia Ronchi (già pm nei processi Aemilia, Grimilde, Perseverance e Omicidi 1992), tolgono spazio ai dubbi del “possibile rischio” di infiltrazione mafiosa nell’Ente Pubblico. I due sindaci, sostiene la magistrata, praticavano “un sistematico asservimento dei propri incarichi e del proprio ruolo politico agli interessi della ‘ndrangheta, e contribuivano concretamente alla realizzazione degli scopi del sodalizio”.