AB1228. Segnate queste lettere e questi numeri. Stanno per Assembly Bill 1228 e non nascondono un mistero. O forse, guardando a ciò che succede in Italia, un po’ sì.

Siamo in California e l’Assembly Bill 1228 è una legge approvata nel giugno 2023. Stabilisce che i lavoratori dei fast food – più di 550mila in tutto lo Stato – a partire dal 1° aprile 2024 hanno diritto a un salario minimo di 20$ all’ora. Un aumento di ben 4$ rispetto al salario minimo statale che in California esiste già ed è pari a 16$ l’ora.

Se qualcuno pensa che la reazione di imprenditori e destra politica sia stata diversa da quella che da anni sentiamo in Italia quando si parla di salario minimo, si sbaglia. In fondo, tutto il mondo è paese.

Anche in California si sono sprecate le dichiarazioni che profetizzavano la chiusura delle imprese, il licenziamento di millemila lavoratori, l’aumento spropositato del prezzo degli hamburger a danno di altri lavoratori e lavoratrici che nei fast food portano le famiglie a mangiare.

A Natale 2023 Pizza Hut comunicava il licenziamento di 1.200 driver. Un portavoce della catena Chipotle, negli stessi giorni, affermava: “Prevediamo di dover alzare i prezzi […] saranno molto più alti in percentuale”, a fronte dell’aumento degli stipendi stimato nell’ordine del 18%. Diverse grandi imprese, poi, annunciavano la sperimentazione di robot, intelligenza artificiale, sistemi di automazione, per rimpiazzare una manodopera ora non più a prezzi di saldo. Le grandi imprese interessate disegnavano scenari apocalittici per lavoratori e cittadini.

Sei mesi dopo, come stanno le cose?

Sectorial wage-setting in California, uno studio di Michael Reich della Berkeley University e di Denis Sosinskiy della Davis University, pubblicato a settembre 2024 dall’Institute for Research on Labor and Empolyment (IRLE), ci aiuta a fare chiarezza.

L’aumento del salario minimo produce meno occupazione?

Reich e Sosinskiy affermano che “dopo il 1° aprile l’occupazione nei fast food ha continuato ad aumentare al ritmo precedente […]. Tali risultati suggeriscono che la misura non ha avuto effetti avversi sull’occupazione”. Anche perché, al di là della retorica, non tutto è facilmente delocalizzabile. Non lo è un ristorante, come non lo è un porto o un magazzino della logistica.

L’aumento del salario minimo viene annullato dall’aumento dei prezzi?

Reich e Sosinskiy hanno studiato i menù di 1.491 ristoranti in California e di 1.694 ristoranti in Stati che hanno ancora un salario minimo di 7,25$ l’ora. “La misura ha condotto a modesti aumenti dei prezzi, contrariamente a quanto preconizzato in tanti ma discutibili report nella stampa economica”. Nel campione studiato, infatti, i prezzi sono aumentati del 3,7%, vale a dire 15 centesimi su un hamburger da 4$. Nel periodo aprile 2023-aprile 2024 i prezzi erano cresciuti del 4,8%.

Significa che le imprese non hanno potuto scaricare l’intero aumento del salario minimo sui prezzi, ma hanno dovuto assorbirne buona parte in termini di minori profitti. Detto altrimenti, usando le parole di Reich e Sosinskiy, “l’incremento del salario minimo a 20$ ha alzato gli stipendi, non ha colpito negativamente l’occupazione e ha aumentato in maniera modesta i prezzi dei prodotti del fast food”.

Un risultato utile anche per il dibattito in Italia, vista l’esigenza di aumentare gli stipendi per uscire dalla trappola del lavoro povero e per redistribuire ricchezza dai profitti ai salari.

Che il miglioramento dei salari sia possibile a danno dei profitti e non dei prezzi lo sostiene anche il Roosevelt Institute: “L’aumento del salario minimo per i lavoratori dei fast food della California può compensare il declino dei salari reali dovuto al breve periodo inflazionistico del 2022-23 e i margini di profitto dell’industria offrono sufficiente spazio per assorbire più alti costi per i salari”.

L’istituto stima che nel solo 2023 le dieci principali imprese del fast food abbiano speso più di 6 miliardi di dollari nel riacquisto di azioni. L’aumento del salario minimo a 20$, nella peggiore delle ipotesi, costerebbe loro 4,6 miliardi all’anno. Basterebbe dunque ridurre – nemmeno annullare – le operazioni di riacquisto di azioni e l’aumento salariale sarebbe perfettamente assorbibile.

L’industria del fast food non è l’unica ad avere tale “spazio”. Se nel solo 2023 i profitti operativi delle prime 10 aziende del settore negli Usa sono stati pari a 21 miliardi di dollari, cosa dire di quelli delle imprese di altri settori altrettanto (se non più) lucrativi?

Questo vale per gli Usa, ma anche – con le dovute differenze – per l’Italia.

Sbaglieremmo però a pensare che la misura californiana sia dovuta alla “bontà” della classe politica locale. “Negli ultimi dieci anni, come lavoratori dei fast food ci siamo organizzati, abbiamo manifestato, abbiamo scioperato per rivendicare voce in capitolo sui nostri posti di lavoro e un salario dignitoso (“living wage”)”. Sono le parole di Laura Pozos, lavoratrice di un ristorante McDonald’s in California e militante della campagna “Fight for $15”, la campagna per l’ottenimento di un salario minimo federale di 15$ l’ora.

La battaglia per un salario minimo continua anche in Italia, tanto a livello nazionale quanto comunale. Che sparisca dai radar dei media nazionali poco conta. Perché l’esigenza non sparisce dalla vita quotidiana di milioni di persone. In tanti Comuni, ad esempio, Potere al Popolo! – dopo aver depositato una Legge di Iniziativa Popolare, a oggi ferma nei cassetti della X Commissione Senato – sta raccogliendo firme per internalizzare i lavoratori che operano nei servizi pubblici e per un salario minimo di 10€ l’ora, di fronte alla promessa delle giunte di centrosinistra di introdurre un salario di 9€ l’ora, al momento rimasta solo su carta.

L’esempio della California è utile per smentire le balle che imprese e destra politica (ma anche liberal e pezzi di centrosinistra) continuano a spargere a piene mani per fermare una rivendicazione necessaria alla vita dell’intero Paese.

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