Il professor Paolo Calabresi spiega al FattoQuotidiano.it le caratteristiche principali della malattia degenerativa che fu diagnosticata a Bruce Willis
Due anni fa è stata diagnosticata all’attore americano Bruce Willis una demenza frontotemporale. Una patologia neurodegenerativa che lo vede in questo momento in una fase in cui non migliora, né peggiora. La sua ex moglie Demi Moore, che gli resta vicino in questo delicato periodo della sua vita, ha spiegato all’Hamptons International Film Festival che “la malattia è ciò che è. E penso che si debba accettare profondamente”. Oggi Moore non pensa più al suo ex marito com’era una volta: “Quando ti aggrappi a ciò che è stato, penso che sia una partita persa. Ma quando ti presenti per incontrarli dove sono, c’è grande bellezza e dolcezza”.
Che cos’è
Parliamo di una malattia che in Italia interessa circa 40mila le persone. Le diagnosi ogni anno sono 12 mila nel mondo e se ne prevedono 150 milioni entro il 2050. Chi colpisce di più? Nel 70% dei casi le persone al di sotto dei 65 anni di età. Si tratta di una patologia neurodegenerativa che coinvolge in particolar modo i lobi frontali e/o temporali del cervello, rappresentando “la causa più frequente di demenza neurodegenerativa nella fase di mezza età”, spiega al FattoQuotidiano.it Paolo Calabresi, Professore Ordinario di Neurologia all’Università Cattolica Sacro Cuore di Roma e Direttore dell’Unità Complessa di Neurologia del Policlinico Gemelli, Roma. La malattia compromette le funzioni del linguaggio e provoca cambiamenti nei comportamenti e nella personalità del paziente. Per esempio, “diventano più disinibiti, aggressivi ma in altri casi, al contrario, si richiudono in se stessi. Fino a ridurre la speranza di vita”, spiega l’esperto.
Possibili cause
“Durante la pandemia Covid-19 sono stato osservati processi infiammatori particolarmente importanti e rilevanti legati a malattie neurodegenerative in pazienti che avevano avuto bisogno di un ricovero ospedaliero con supporto respiratorio – continua Calabresi -. In altre parole, è stato in parte accertato che le grandi pandemie aumentano il rischio, in particolare, della malattia di Parkinson, ma anche di tutte le malattie neurodegenerative, tra le quali rientra la demenza frontotemporale. Sappiamo che il cervello è protetto dalla barriera emato-encefalica da infezioni che si possono produrre in altre aree dell’organismo. In alcuni casi questa difesa può essere superata con un passaggio di sostanze infiammatorie dalla periferia al sistema nervoso centrale, ossia nel cervello. Lo stato infiammatorio viene rilevato dalla presenza della proteina ‘tau’ che, in caso di demenza frontotemporale, invece di produrre un’azione protettiva, risulta aggressiva nei confronti del cervello stesso e in particolare di due aree cerebrali che sono appunto il lobo temporale e quello frontale”.
Non confonderla con un disturbo psichiatrico
C’è un altro aspetto da considerare: “Non bisogna confondere questa patologia con un disturbo di tipo psichiatrico e quindi rischiare di avviare una strategia terapeutica completamente sbagliata”, aggiunge il neurologo. Come non confondersi? “In caso di presenza di sintomi comportamentali disfunzionali, una risonanza magnetica celebrale ci permette di capire se c’è un’atrofia dei lobi frontali e temporali; oppure, con una puntura lombare, se la proteina tau è particolarmente alterata: tutti segnali che indicano un processo neurodegenerativo in corso e non la presenza di un disturbo psichiatrico che, ricordiamo, insorge in una fascia di età ben più giovane (pensiamo al disturbo bipolare) rispetto alle patologie neurodegenerative”.
La persona diventa molto disinibita
Che particolari funzioni ha il lobo frontale?
“Serve a programmare il nostro comportamento, a sapere come interagire con gli altri e a riconoscere le regole sociali. In altre parole, la sua funzione è fondamentale per il buon vivere civile. Quindi nella demenza frontotemporale non si verificano disturbi della memoria, ma prevalentemente problemi legati al comportamento. O, come accennato prima, si verificano alterazioni nel linguaggio, con difficoltà anche a nominare oggetti comuni della vita quotidiana o a costruire una frase. Per questo motivo il paziente può risultare incomprensibile nella comunicazione e avere lui stesso grandi difficoltà nel comprendere chi gli sta parlando”.
Rallentare il processo degenerativo
Attualmente, non ci sono cure. Tuttavia, è possibile perlomeno rallentare la degenerazione?
“Nelle fasi iniziali della malattia può essere di particolare aiuto una terapia cognitiva per fare in modo che i pazienti restino integrati nel tessuto sociale, soprattutto familiare; mentre in ambito lavorativo questo diventa molto più difficile a causa dello scadimento delle funzioni comportamentali di cui abbiamo detto. In ogni caso, se c’è un ambiente familiare che trasmette al paziente affetto e attenzioni, la malattia può avere un decorso meno rapido. Non ci sono però farmaci né, come ho sentito dire, integratori degni di nota che possano trattare con risultati apprezzabili la demenza frontotemporale. Piuttosto, ci sono farmaci che sul versante neurologico possono controllare, entro certi limiti, alcuni sintomi, in particolare gli eccessi comportamentali presenti in questa malattia, per rendere i pazienti meno aggressivi e più ‘gestibili’; ma anche aiutarli a dormire meglio, visto che soffrono frequentemente di insonnia. Tutto questo rende un po’ più agevole la convivenza con i familiari e facilita il loro supporto”.