Ambiente & Veleni

“Così il Governo Meloni ha ingiustamente facilitato Eni e Snam per il progetto di cattura e stoccaggio di anidride carbonica a Ravenna”

L’avvio della fase sperimentale del progetto senza una valutazione degli impatti ambientali, facilitazioni economiche e nessuna garanzia fideiussoria in caso di fuoriuscite o irregolarità significative. Sono alcune delle agevolazioni che hanno spianato la strada a Ravenna CCS di Eni e Snam, il primo progetto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica in Italia. A due mesi […]

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L’avvio della fase sperimentale del progetto senza una valutazione degli impatti ambientali, facilitazioni economiche e nessuna garanzia fideiussoria in caso di fuoriuscite o irregolarità significative. Sono alcune delle agevolazioni che hanno spianato la strada a Ravenna CCS di Eni e Snam, il primo progetto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica in Italia. A due mesi dall’annuncio dell’avvio della fase sperimentale, ReCommon ricostruisce in un report provvedimenti normativi e misure del Governo Meloni che hanno favorito il progetto, parlando di “palesi conflitti di interessi ed eccezioni di comodo” e ricordando che restano una serie di domande senza risposta rispetto all’efficacia di una tecnologia ritenuta costosa e non priva di rischi. Il tutto in un territorio già provato dalla subsidenza, l’abbassamento del suolo e del fondale marino nel quale hanno avuto un ruolo attività estrattive, di stoccaggio e iniezioni fluidi su giacimenti offshore e in terraferma. Un territorio almeno in parte in zona sismica e già alle prese con alluvioni e sfollati. “La normativa sul CCS è l’ennesimo favore a Eni e Snam, sebbene questa tecnologia sia controversa perché molto costosa e poco efficace. Negli anni a venire, come sta accadendo in Inghilterra, è molto probabile che saranno i finanziamenti statali a pagare il conto salato del CCS” spiega a ilfattoquotidiano.it Eva Pastorelli di ReCommon, autrice del rapporto.

L’evoluzione del progetto di cattura e stoccaggio di CO2 – Eni l’ha proposto nel 2021, nel contesto del Pnrr, ma da allora il progetto si è evoluto, collegando alla cattura e stoccaggio una serie di infrastrutture per raccogliere e trasportare l’anidride carbonica da Emilia Romagna e Veneto verso gli impianti Eni di Casalborsetti (Ravenna). Qui si trova la centrale dove viene processato il gas estratto in Alto Adriatico, primo impianto a cui Eni applica la tecnologia della cattura della CO2. Riutilizzando gasdotti già esistenti e riadattati, vuole trasportarne 25mila tonnellate l’anno verso il giacimento esausto di Porto Corsini Mare Ovest. A Ravenna CCS si collega così il progetto CCS Pianura Padana che prevede di costruire, sempre a Casalborsetti, una centrale di compressione dove verrà convogliata la CO2 raccolta inizialmente dalle zone industriali di Ferrara e di Ravenna (con una rete di circa 100 chilometri di gasdotti quasi interamente da costruirsi) e, successivamente, anche dal polo industriale di Marghera. La raccolta dell’anidride carbonica da questi impianti, però, avverrebbe nella Fase 2 (la fase industriale del progetto), a partire dal 2027: Eni e Snam promettono di trasportare e stoccare fino a 4 milioni di tonnellate di CO2 l’anno entro il 2030 a fronte di una capacità di iniezione media degli stoccaggi operativi nel mondo, che va da 1,1 a 1,4 milioni di tonnellate l’anno.

La dimensione transfrontaliera – “Non è stato semplice per le due compagnie accedere a finanziamenti pubblici e procedure semplificate” ricostruisce ReCommon, ricordando che la Commissione Ue aveva negato la possibilità di usare i fondi Pnrr per progetti fossili. Il cambio di passo è avvenuto nel 2024, con la proposta di espansione del progetto: avviata la sua fase industriale, dovrebbe coinvolgere anche la Francia con il progetto Callisto, guidato dalla Air Liquide. La promessa è quella di sviluppare nel Mediterraneo “un hub per la CO2”, con l’obiettivo di raccoglierne fino a 500 milioni di tonnellate entro il 2050, allargando gli stoccaggi ad altri giacimenti Eni e contribuendo a decarbonizzare i distretti industriali hard to abate italiani e, in prospettiva, europei. “Con questa nuova veste, il CCS di Ravenna è stato riconosciuto Progetto di Interesse Comune dalla Commissione Ue – racconta ReCommon – potrà beneficiare di finanziamenti e comporterà un movimento e stoccaggio complessivo di CO2 fino a 16 milioni di tonnellate l’anno”. Di fatto, i progetti sperimentali di CCS rientrano tra le opere strategiche per la transizione energetica e tra gli interventi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti che rispondono agli obiettivi fissati dal Pnrr. Quindi “Ravenna CCS non è stato sottoposto a valutazione ambientale, mentre CCS Pianura Padana beneficia di procedure di valutazione ambientale accelerate e semplificate, che dimezzano i tempi per la consultazione pubblica” spiega ReCommon.

La strada spianata – ReCommon ricostruisce la legislazione adottata dal governo Meloni. Eni e Snam hanno beneficiato di un’eccezione nella normativa: progetti sperimentali per lo stoccaggio fino a 100mila tonnellate di CO2 possono partire senza una valutazione degli impatti ambientali. Solo dalla fase industriale, il progetto CCS di Ravenna dovrà ottenere un’autorizzazione che passi anche da questo tipo di valutazione. Secondo l’associazione, inoltre, l’articolo 7 della legge di conversione del Decreto Sicurezza Energia del 2024 “sancisce un palese conflitto di interessi” perché prevede che il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica si avvalga “di società aventi comprovata esperienza nei settori della cattura, trasporto e stoccaggio di CO2” per la predisposizione di uno studio che strutturi l’intera impalcatura normativa e la regolazione tecnica, economica e finanziaria della filiera. Secondo ReCommon, questo permetterà a Eni e Snam di scrivere “una normativa che potrà riconoscere loro incentivi e laute remunerazioni provenienti anche dal bilancio dello Stato”. Nel Regno Unito, le corporation fossili hanno esercitato un’intensa attività di lobbying per garantire sussidi al settore CCS. E le aziende (tra cui la stessa Eni) hanno ottenuto l’impegno da parte del governo a destinare più di 26 miliardi di euro in 25 anni al finanziamento di progetti di CCS.

Chi garantisce per i rischi – Come ricorda ReCommon, inoltre, il decreto legislativo che recepisce la direttiva Ue in materia di stoccaggio geologico del biossido di carbonio prevede che gli obblighi relativi a monitoraggio e restituzione di quote di emissione in caso di fuoriuscite siano trasferiti, dopo 20 anni – o anche prima, se si soddisfano alcune condizioni – dalle aziende al ministero dello Sviluppo economico. “Venti anni potrebbero sembrare un periodo consono per accertarsi che la CO2 sia confinata in maniera sicura nel sottosuolo – spiega ReCommon – ma è impossibile determinare il rischio di fuga della CO2 attraverso le strutture geologiche esistenti o a seguito di eventi catastrofici naturali, come i terremoti, che possono avvenire anche in un lontano futuro”. Eni e Snam, inoltre, sono state esentate dal presentare una garanzia fideiussoria a copertura dei costi in caso di fuoriuscite o irregolarità significative, proprio perché il progetto è sperimentale (il volume di stoccaggio è inferiore a 100mila tonnellate). Secondo ReCommon il progetto CCS Pianura Padana “sembra costruito sulla scommessa che vada tutto bene”. “Questa sottovalutazione del rischio è ancora più allarmante se si considera che l’area interessata dallo sviluppo dei progetti CCS – spiega Elena Gerebizza, anche lei autrice dello studio – è già pesantemente colpita da eventi climatici estremi e dalla subsidenza. La realizzazione di nuove infrastrutture su terra e in mare pone dei rischi ulteriori e la vincola ancora a un modello fossile che è la sua maledizione”. La fase industriale del progetto, infatti, prevede la costruzione di infrastrutture che dovranno trasportare la CO2 dalla provincia di Ferrara al Ravennate, attraversando zone densamente abitate e cementificate, ma anche pregevoli aree naturali e siti della Rete Natura 2000.

Cosa si sa sui progetti di cattura e stoccaggio nel mondo – Proprio in questi giorni, a Decatur, nell’Illinois (Usa), le perdite di CO2 da un impianto Ccs dell’Adm (Archer-Daniels-Midland), società di trasformazione di cereali, stanno preoccupando le comunità locali per il rischio della contaminazione della falda acquifera. Tra gli incidenti registrati finora, invece, un caso di rilievo è quello di Satartia, nel Mississippi: a febbraio 2020, in seguito alla rottura di un gasdotto, un villaggio è stato evacuato. Negli Stati Uniti, complice il sostegno dell’Inflation Reduction Act, sono 150 le richieste di costruzione di impianti. Uno studio pubblicato nel 2022 dall’Institute for Energy Economics and Financial Analysis ha rivelato che dieci tra i 13 maggiori impianti CCS al mondo analizzati (che ammontano a circa il 55% della capacità nominale di cattura installata a livello globale) o sono ampiamente sottoperformanti o sono falliti. La performance economica e ambientale dei progetti di CCUS (Carbon Capture, Utilization, and Storage) finora approvati è stata analizzata nel 2023 da Oil Change International: “Non solo risulta che i principali impianti in Usa, Australia, e Medio Oriente operano a capacità significativamente ridotte (tra il 10 e il 60%), ma la maggior parte di quelli operativi utilizzano CO2 per estrarre più idrocarburi”.