L’aula del Senato ha dato l’ok all’autorizzazione a procedere, per sindacabilità, nei confronti di Carlo Calenda: il leader di Azione andrà quindi a processo per diffamazione aggravata dopo essere stato querelato da Clemente Mastella per un tweet in cui, secondo l’ex ministro della Giustizia, Calenda l’ha associato alla mafia. A favore della richiesta, i gruppi […]
L’aula del Senato ha dato l’ok all’autorizzazione a procedere, per sindacabilità, nei confronti di Carlo Calenda: il leader di Azione andrà quindi a processo per diffamazione aggravata dopo essere stato querelato da Clemente Mastella per un tweet in cui, secondo l’ex ministro della Giustizia, Calenda l’ha associato alla mafia. A favore della richiesta, i gruppi di centrosinistra per un totale di 54 voti mentre il centrodestra si è astenuto con 85 voti. Nessun voto contrario. Il voto dell’Aula ha confermato il voto della Giunta delle elezioni e immunità dell’1 ottobre scorso, anche negli schieramenti tra maggioranza e opposizioni. Con l’unica differenza del voto di Avs, che in quella occasione era assente.
Il 3 aprile scorso su Twitter Calenda criticò la scelta di Emma Bonino di fare la lista ‘Stati Uniti d’Europa’ insieme a Matteo Renzi e ad altri centristi, in vista delle elezioni europee di giugno. “Non ha alcun senso fare una lista che include movimenti che andranno in gruppi politici europei diversi – scrisse sui social rivolgendosi a Bonino – Non ha alcun senso portarsi dietro, sia pure per interposta persona, Cuffaro, Cesaro e Mastella. La cultura della mafia è l’opposto dei valori europei“. Parole che fecero infuriare il sindaco di Benevento ed ex ministro della Giustizia che annunciò subito una querela. Sul caso è stato aperto un processo per diffamazione aggravata. Il gip del tribunale di Roma aveva chiesto a Palazzo Madama di decidere se concedere l’immunità al parlamentare.
“Questo pariolino viziato che gioca a fare il bulletto mediatico non può permettersi di associare il mio nome e la mia storia politica alla mafia” disse Mastella. L’11 settembre in audizione Calenda aveva sostenuto che il riferimento alla cultura della mafia non era rivolto al sindaco. “Il mio riferimento era a Cuffaro, su cui c’è una sentenza della Cassazione e non c’è bisogno di altre spiegazioni”, aveva sottolineato.