In un panorama in cui la tecnologia e l’intelligenza artificiale stanno rivoluzionando profondamente la vita urbana e le dinamiche sociali, la Milano Digital Week 2024 si configura come un evento cruciale per esplorare questi cambiamenti. Dal 10 al 14 ottobre, Milano è stata teatro di oltre 200 eventi dedicati all’innovazione tecnologica, mettendo in luce come il digitale stia trasformando i servizi, le imprese, e il modo in cui viviamo la città. Al centro di questo dialogo ci sono intelligenza artificiale, sostenibilità e nuove forme di cittadinanza digitale, temi che verranno discussi da esperti provenienti da diversi ambiti.

Tra questi protagonisti figura Cosimo Accoto, filosofo tech di riconosciuta fama internazionale, research affiliate e fellow presso il MIT di Boston e adjunct professor all’Università di Modena e Reggio Emilia (UNIMORE). Accoto è noto per la sua riflessione interdisciplinare che spazia dalla filosofia del codice e dell’automazione, alle implicazioni culturali e sociali delle tecnologie emergenti come blockchain, intelligenza artificiale e biologia sintetica. Autore di diverse opere di successo, tra cui Il mondo dato (2017), Il mondo ex machina (2019) e Il mondo in sintesi (2022), Accoto ha recentemente pubblicato Il Pianeta Latente (2024), in cui esplora nuove provocazioni tecniche e culturali nel contesto della civiltà digitale.

In questa intervista, esploreremo con lui le sfide e le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale, tema centrale della Milano Digital Week 2024, che quest’anno si focalizza sul rapporto tra nuovi linguaggi digitali e la creatività umana. Cosimo Accoto ci offrirà il suo punto di vista su come l’AI stia trasformando non solo i nostri ambienti di lavoro e i servizi pubblici, ma anche la cultura, la cittadinanza e la sostenibilità delle città del futuro.

A supporto di questa visione, i dati raccolti da TIG – The Innovation Group mettono in evidenza il peso economico e tecnologico che Milano ha acquisito nel contesto nazionale. Secondo la ricerca di mercato realizzata da TIG:

  • Il mercato digitale della città metropolitana di Milano rappresenta il 18% del totale nazionale, con un valore di 13.724 milioni di euro su un totale di 77.803 milioni in Italia. A livello lombardo, questo dato si traduce in un’incidenza del 63% sul totale regionale, posizionando Milano come epicentro della trasformazione digitale del Paese.
  • Sul fronte occupazionale, il settore ICT milanese impiega oltre 206.700 persone, che rappresentano circa il 31,3% dell’occupazione nel settore a livello nazionale. Ciò conferma il ruolo centrale della città nella creazione di opportunità lavorative legate alla digitalizzazione.
  • Le 14.710 aziende ICT presenti a Milano costituiscono il 12% del totale nazionale, con una significativa presenza di startup e PMI, di cui il 28,7% a livello italiano si trova in Lombardia.

Questi dati dimostrano come Milano non sia solo un laboratorio di innovazione, ma anche un pilastro del mercato digitale italiano, con un impatto rilevante su vari settori, dall’ICT alla smart city, dalla sicurezza informatica all’energia sostenibile. Grazie a queste dinamiche, la città è considerata un modello di sviluppo per la digitalizzazione urbana, con progetti che puntano a migliorare la vita dei cittadini attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e la creazione di nuove infrastrutture tecnologiche.

Con un PIL metropolitano di 250 miliardi di euro, che rappresenta l’11,7% del PIL nazionale, Milano è già un punto di riferimento per lo sviluppo economico e tecnologico italiano. Tuttavia, come afferma Accoto, il vero potenziale di questa rivoluzione digitale risiede nella capacità di renderla inclusiva e sostenibile, garantendo che tutti i cittadini possano beneficiare delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie.

Grazie a questa intervista, avremo l’opportunità di esplorare non solo le sfide tecnologiche che ci attendono, ma anche le profonde trasformazioni culturali che stanno ridefinendo le nostre città e il nostro modo di vivere. Cosimo Accoto, con la sua visione interdisciplinare, ci aiuterà a decifrare questi cambiamenti, offrendo una riflessione che va oltre la tecnologia per abbracciare una nuova filosofia della civiltà digitale.

Lei ha esplorato la “filosofia del codice” e il concetto di “sensor e software society”. Come pensa che la crescente automazione e la programmazione dei sistemi possano influire sui nostri comportamenti sociali e sulla nostra percezione della realtà?
La nostra civiltà è figlia del codice software che è un linguaggio molto diverso da quelli a cui siamo abituati. Infatti, a differenza del linguaggio naturale che è interpretabile, il codice software è eseguibile. Non è interpretazione di messaggi, ma esecuzione di istruzioni. Da questa prospettiva, i paradigmi della comunicazione e dell’interazione si trasformano introducendo nuovi automatismi e nuove autonomie dentro le nostre società e dentro le nostre città. La nostra esperienza urbana è dunque mediata da questi nuovi linguaggi. L’automazione e l’autonomia introducono efficienza, ma talvolta a scapito di libertà e casualità. In una certa misura, la complessità del vivere urbano contemporaneo richiederà l’uso massivo di queste nuove tecnologie (se vogliamo ottimizzare flussi, risorse, servizi) ma dobbiamo prestare attenzione alle limitazioni e ai vincoli che si imporranno. Con anche il passaggio dal paradigma dell’archivio (pochi dati, un po’ di esperienza) al paradigma dell’oracolo (il parcheggio che comunica di essere libero) anticipando i bisogni di cittadini e servizi di mobilità.

Nel contesto della Milano Digital Week, si parla di un nuovo “urbanesimo e umanesimo” legato all’intelligenza artificiale. Come pensa che l’AI possa influire su questa nuova visione delle città e delle interazioni umane?
Chi studia il nuovo urbanesimo (si veda il saggio collettaneo “Artificial Intelligence & The City”, Routledge 2024) ci racconta di come stiano cambiando i paradigmi dell’urbanesimo con l’arrivo dell’intelligenza artificiale. Se finora abbiamo progettato le future vite urbane sull’idea delle smart city con crescente automatizzazione di soluzioni e servizi, sempre di più – ci dicono gli autori del saggio – andiamo verso un nuovo urbanesimo potenziato dall’intelligenza artificiale. Questo umanesimo deve fare i conti e beneficiare (sperabilmente) dell’autonomia visibile progressiva di agenti e macchine autonome (pensiamo alle auto che si guidano da sole) che non soltanto agiscono automaticamente, ma anche sempre più con autonomia cognitiva e decisionale. Questo implicherà anche nuove relazioni e interazioni tra umani e umani, ma anche tra umani e macchine e tra macchine e macchine. Nuove regole di comportamento andranno progettate perché i pedoni del futuro non saranno solo umani, ma anche robot e con questi dovremo condividere anche i marciapiedi. Di conseguenza, nuovi contratti sociali, nuove esperienze e abitudini, nuove cittadinanze umane e non umane popoleranno le nostre città del futuro.

Durante la Digital Week si esploreranno le fasi dell’evoluzione dell’intelligenza artificiale (ricognitiva, generativa e agentiva). Può spiegare meglio cosa intende per AI agentiva e come questa influenzerà le nostre vite quotidiane?
L’intelligenza artificiale rappresenta una nuova forma di automazione, evolvendo dall’automazione della forza fisica a quella delle capacità cognitive. Inizialmente, l’IA ha sviluppato abilità di riconoscimento, identificando oggetti, ambienti e persone. Successivamente, ha acquisito capacità predittive e generative, diventando capace di rigenerare il linguaggio e rispondere a richieste.

Attualmente, stiamo vivendo la fase agentiva dell’IA, in cui essa non si limita a scrivere testi o generare musica, ma si integra in oggetti e macchine, assumendo una certa autonomia. Per esempio, un’auto a guida autonoma raccoglie informazioni in tempo reale sul traffico e il movimento dei pedoni, potendo così frenare o sterzare in base a ciò che osserva. Questo passaggio dall’IA ricognitiva a quella agentiva implica non solo il riconoscimento, ma anche l’azione fisica, come frenare o accelerare.

La crescente autonomia delle macchine si manifesta anche in ambiti come la robotica negli ospedali o nei ristoranti, dove i robot svolgono compiti utili. Questa evoluzione porta a una nuova concezione di urbanesimo, in cui ci si sposta dalle Smart City, basate su reti e sensori invisibili, a un urbanesimo “potenziato” dall’IA, in cui le macchine autonome interagiscono visivamente con gli abitanti.

I cittadini non saranno più solo esseri umani, ma anche veicoli autonomi che richiederanno nuove regole sociali. Ad esempio, un robot che consegna cibo avrà bisogno di diritti simili a quelli dei pedoni, con regole che disciplinano la sua interazione con gli esseri umani. Ciò richiederà un nuovo contratto sociale che preveda il rispetto e l’integrazione tra abitanti umani e robotici, modificando i comportamenti e le dinamiche all’interno delle città. Questo scenario, che potrebbe sembrare fantascientifico, sta diventando sempre più reale e impone una riflessione su come ci relazioneremo con le tecnologie autonome nel nostro ambiente quotidiano.

In un contesto in cui si pone molta enfasi su un futuro inclusivo grazie all’AI, come possiamo garantire che la tecnologia non crei nuove disuguaglianze, ma piuttosto riduca il divario digitale?
I rischi legati all’intelligenza artificiale sono molteplici, tra cui la manipolazione dei dati e la discriminazione, e sollevano importanti questioni sociali ed etiche. L’Europa ha adottato un approccio regolatorio che pone al centro il valore della dignità umana e la protezione dei diritti individuali, in contrapposizione agli Stati Uniti, dove il mercato è il valore guida, e alla Cina, dove prevale l’interesse statale.

Questa cornice regolatoria, che entrerà in vigore progressivamente, richiede a chi sviluppa applicazioni di IA di tutelare i diritti delle persone, evitando discriminazioni, sorveglianza e garantendo l’accesso equo ai servizi. È essenziale che le tecnologie non causino danni fisici o psicologici. Pertanto, sono vietate alcune applicazioni che presentano rischi elevati per la libertà e l’uguaglianza, come il social scoring, la biometria e il riconoscimento facciale, almeno per i dispositivi e i servizi più comuni. Tuttavia, ci sono eccezioni per ambiti come la sicurezza militare e la protezione dei confini.

Le aziende che vogliono sviluppare servizi potenziati dall’IA devono conformarsi a queste normative e dovrebbero già implementare principi etici interni, che vanno oltre le leggi, per garantire il rispetto della dignità umana. In questo modo, l’Europa ha scelto un approccio cautelativo nell’affrontare l’ondata tecnologica, anche se questo potrebbe limitare l’accesso a determinati prodotti, specialmente quelli sviluppati negli Stati Uniti, dove le aziende tendono a non fare compromessi per soddisfare le normative Europee.

Durante la Milano Digital Week si è parlato anche di “nuova cittadinanza digitale”. Come immagina l’evoluzione del concetto di cittadino in una metropoli sempre più digitale e connessa?
È fondamentale riuscire ad adattarsi a questi nuovi paradigmi e modelli, infatti nelle università sono già stati introdotti corsi sulla cittadinanza digitale. Anche le scuole stanno iniziando a implementare lezioni di educazione digitale e civica per formare cittadini consapevoli delle trasformazioni tecnologiche del XXI secolo. È importante che queste persone riconoscano non solo i benefici delle nuove tecnologie, ma anche le vulnerabilità e i rischi associati.

Molti di noi sono abituati a pensare alla cybersicurezza in termini di protezione fisica, come chiudere la porta di casa. Allo stesso modo, è cruciale comprendere che la password è una chiave privata che richiede attenzione e protezione. Purtroppo, ci troviamo ancora in una fase in cui l’educazione e la formazione sono ancorate a modelli del Novecento, mentre le tecnologie avanzano rapidamente. Questo gap richiede uno sforzo significativo per garantire che i cittadini siano preparati ad affrontare le sfide della società moderna.

Uno degli obiettivi della Milano Digital Week è esplorare come l’AI possa rendere le città più sostenibili. Quali applicazioni concrete dell’AI vede come più promettenti in questo ambito?
L’intelligenza artificiale ha il potenziale di ottimizzare il funzionamento delle città, ad esempio nella gestione dei consumi energetici. Attualmente, molte erogazioni energetiche avvengono in modo impreciso e grossolano. Grazie a sensori, modelli e simulazioni, l’IA potrebbe permettere una distribuzione più controllata e precisa dell’energia, contribuendo così a un significativo risparmio.

Tuttavia, l’IA è anche energivora: per produrre modelli e calcoli, richiede una grande quantità di dati e risorse energetiche. Una volta addestrata, però, l’IA potrebbe rendere possibile un uso più efficiente dell’energia. È fondamentale considerare la sostenibilità nel digitale, poiché tutti i dispositivi, dagli smartphone ai computer, consumano energia. Sebbene l’uso di tecnologie digitali possa ridurre il bisogno di risorse fisiche, come la carta, il loro funzionamento implica comunque un consumo energetico.

Le esperienze passate, come quelle della blockchain, mostrano che tecnologie inizialmente energivore possono evolversi verso sistemi più sostenibili. Attualmente, ci sono blockchain che consumano meno energia o utilizzano energia rinnovabile. Ciò porta a un certo ottimismo: le aziende tecnologiche possono adottare pratiche più sostenibili.

Recentemente, l’ex capo di Google ha affermato che dovremmo fornire all’IA tutta l’energia necessaria, sperando che successivamente trovi modi per farci risparmiare. Questo approccio, però, comporta dei rischi, poiché non possiamo essere certi che l’IA svilupperà soluzioni efficaci per il risparmio energetico. Anche se ci sono opportunità di ottimizzazione, è fondamentale affrontare la sostenibilità con cautela e consapevolezza, evitando una visione troppo semplicistica delle implicazioni delle tecnologie sulle nostre vite e sulle nostre economie.

L’AI sta trasformando il mondo del lavoro. Quali sono le competenze chiave che le persone dovranno acquisire per essere preparate a questa rivoluzione tecnologica?
È vero, non possiamo prevedere il futuro con certezza, ma possiamo osservare come i cambiamenti tecnologici stiano creando nuove opportunità lavorative, ad esempio nel campo della cybersicurezza. Con l’aumento della digitalizzazione e della vulnerabilità alle minacce informatiche, la domanda di professionisti esperti in questo settore sta crescendo. I cyber ingegneri diventeranno essenziali per proteggere case, banche e infrastrutture.

Tuttavia, ci sono anche compiti che solo gli esseri umani possono svolgere. Man mano che l’intelligenza artificiale avanza, sarà in grado di svolgere attività creative come scrivere, fotografare e programmare. Questo potrebbe significare che le competenze tradizionali, come la programmazione, potrebbero essere delegate alle macchine, costringendo gli sviluppatori a riconsiderare il loro ruolo: potrebbero dover supervisione e coordinare il lavoro delle IA piuttosto che scrivere codice manualmente.

Per affrontare questa evoluzione, è fondamentale sviluppare competenze in aree in cui le macchine sono ancora carenti. Il pensiero critico, creativo, strategico, emotivo e collaborativo sono tutte abilità umane che le IA non possono replicare facilmente. È importante continuare a studiare materie STEM, poiché saranno sempre rilevanti in qualsiasi professione futura, che si tratti di medicina, diritto, economia o arte.

Inoltre, combinare le competenze tecniche con il pensiero computazionale e altre capacità interpersonali può aiutare a prepararsi per il futuro del lavoro. Ad esempio, un avvocato o un economista che padroneggiano anche le tecnologie informatiche potranno svolgere il proprio lavoro in modo più efficace. È fondamentale rimanere aperti all’apprendimento e all’adattamento, poiché le macchine continueranno a prendere in carico alcuni aspetti del nostro lavoro.

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