La contestazione più pesante è caduta. Antonello Montante si salva in Cassazione dall’accusa di associazione a delinquere. La Suprema corte si è espressa sul caso dell’ex presidente di Confindustria Sicilia, già delegato per la legalità di viale dell’Astronomia. Sedicente paladino dell’antimafia, in Appello era stato condannato a otto anni di carcere per associazione a delinquere […]
La contestazione più pesante è caduta. Antonello Montante si salva in Cassazione dall’accusa di associazione a delinquere. La Suprema corte si è espressa sul caso dell’ex presidente di Confindustria Sicilia, già delegato per la legalità di viale dell’Astronomia. Sedicente paladino dell’antimafia, in Appello era stato condannato a otto anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico.
La sentenza – Ora la sesta sezione della Suprema corte, presieduta dal giudice Giorgio Fidelbo, ha fatto cadere l’accusa di associazione a delinquere, con la formula perché il fatto non sussiste. Cancellata anche la rivelazione del segreto di ufficio e l’accesso abusivo a sistema informatico, “in questo ultimo caso limitatamente alle condotte poste in essere fino al giugno 2014” per intervenuta prescrizione. I giudici hanno disposto, quindi, un secondo processo d’Appello per il ricalco della pena relativamente alle contestazioni di accesso abusivo compiute dopo il 2014 e di corruzione, fattispecie per le quale è stata dichiarata “irrevocabile la responsabilità penale”.
Resta libero – “Siamo soddisfatti per il fatto che è venuto meno l’impianto accusatorio per la parte relativa all’associazione per delinquere nei confronti dell’imputato. Leggeremo poi le motivazioni per l’ipotesi di corruzione. E, poi, ovviamente gli ulteriori percorsi giudiziari da seguire. Perché, ancora non è stata posta la parola fine a questa sentenza”, ha detto l’avvocato Giuseppe Panepinto, legale dell’imprenditore. Montante è al momento un uomo libero, non dovrebbe tornare in carcere. Ha comunque già scontato un anno e mezzo di custodia cautelare.
Gli altri imputati – Nella scorsa udienza, il sostituto procuratore generale di Cassazione Elisabetta Ceniccola aveva chiesto la conferma della sentenza d’Appello per Montante, ma pure per Diego Di Simone, ex capo della security di Confindustria condannato a 5 anni, e per Marco De Angelis, il sostituto commissario che aveva ricevuto in secondo grado una condanna a 3 anni e 3 mesi . Tra i ricorsi presentati in Cassazione anche quello del generale Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta, per il quale l’assoluzione diventa ora definitiva. Per altri 26 imputati, che hanno scelto di essere processati con il rito ordinario, il processo è ancora in corso a Caltanissetta.
La storia dell’inchiesta – Montante era finito indagato in un’inchiesta per mafia nel 2015, quando era al vertice del suo potere. Rispettato leader degli industriali siciliani, considerato simbolo della ribellione degli imprenditori contro il racket dei clan, era stato appena designato come componente del cda dell’Agenzia per i beni confiscati alle mafie. Tre anni dopo era finito agli arresti con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Dopo aver scelto l’abbreviato, in primo grado Montante era stato condannato a 14 anni di carcere, ridotti a 8 in appello, quando era caduta l’accusa di violenza privata. Secondo l’accusa, avrebbe compiuto una attività di dossieraggio per colpire gli avversari, creando una rete di potere che puntava a condizionare la politica regionale.
Il dossieraggio – Nelle motivazioni, depositate oltre 500 giorni dopo la sentenza, i giudici d’Appello scrivevano: “Dietro la coltre fumose della locuzione ‘sistema’, tanto spesso utilizzata anche in questo giudizio, nonostante sia più appropriata alla sintesi giornalistica che non all’analisi dei fatti tipici propria della giurisdizione, si perdono i percorsi che conducono ai più qualificati appoggi dei settori politici, istituzionali ed economici che hanno reso Montante una figura strategica con un ruolo di fatto e informale non classificabile nelle ordinarie e più trasparenti categorie della politica, dell’economia e delle istituzioni”. Secondo i giudici del processo di secondo grado, l’ex presidente di Confindustria “raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l’uso” e “ciò era noto nella sua cerchia e tra le persone a lui vicine, l’uso che ne avrebbe potuto fare era chiaro”. E ancora, scriveva le corte, “plurime fonti riferiscono che egli si vantava di avere a disposizione dossier, pronti all’uso”.
L’accesso alle banche dati – Il giorno in cui venne arrestato, il 14 maggio del 2018, Montante si barricò nel suo appartamento. Prima che le forze dell’ordine riuscissero a entrare, distrusse oltre 20 pen drive e decine di documenti. Probabilmente una parte del suo archivio. I giudici, infatti, sottolineano come l’imprenditore avesse “ripetutamente accesso” alle “banche dati Sdi per procedere ad interrogazioni non autorizzate su imprenditori, politici, amministratori, professionisti, editori, giornalisti, collaboratori di giustizia, persone sospettate di appartenere alla criminalità organizzata, un magistrato, i suoi familiari e la sua autovettura”. Nel 2021 l’ex paladino dell’antimafia si fece interrogare per quasi per quattro udienze durante il suo processo: negò tutti gli episodi e gli addebiti da capo dell’associazione a delinquere con cui avrebbe commesso i reati di corruzione e di accesso abusivo ai sistemi informatici. “No, assolutamente no”, aveva ripetuto per diverse volte. Alla fine dell’udienza, a porte chiuse, il suo legale disse: “Montante ha fatto presente che tutti i presidenti di Confindustria facevano richieste di informazioni a Diego Di Simone e poi lui faceva un resoconto sulla base di quello che aveva trovato ma la sua fonte di informazioni non la diceva a nessuno”.
Il maxiprocesso – Adesso bisognerà capire come influirà la sentenza della Suprema corte sul Maxi processo in corso, tra mille rallentamenti, a Caltanissetta. Alla sbarra c’erano 30 imputati, ma già in quattro sono usciti dal dibattimento per intervenuta prescrizione: tra questi anche il governatore della Sicilia, Renato Schifani. Tra gli imputati c’è anche il suo predecessore Rosario Crocetta e altri politici, compresa l’ex assessora regionale Linda Vancheri.