La coppia italiana con la bimba nata da una maternità surrogata aveva già fatto due tentativi di lasciare l’Argentina, prima di essere fermata nella notte tra il 25 e il 26 ottobre all’aeroporto di Ezeiza a Buenos Aires. A ricostruirlo è il quotidiano argentino La Nacion: il primo tentativo risale a mercoledì della settimana scorsa, quando la madre della piccola, nata il 10 ottobre scorso, si è presentata allo scalo cittadino, Aeroparque, con uno dei due italiani dicendo di volerlo autorizzare a viaggiare da solo con la loro bimba. Tuttavia, secondo fonti, già allora le autorità di Migrazione avevano sospettato che l’uomo non fosse il suo compagno. La coppia, in quel caso, si era allontanata senza completare la pratica.
I due ci hanno però riprovato il giorno successivo, giovedì, sempre presso l’hub internazionale di Ezeiza. I documenti erano in regola perché entrambi erano indicati come genitori della piccola, ma agli agenti è saltato all’occhio che la donna viveva a Rosario, mentre il presunto compagno italiano, in Argentina ci è andato solo una volta, nell’agosto 2023. Un dettaglio che esclude la possibilità di un concepimento naturale. A quel punto la polizia federale che si occupa della Migrazione ha contattato il Tribunale federale numero uno di Lomas de Zamora, competente per l’aeroporto, sporgendo denuncia, e il giudice Federico Villena ha assegnato il caso al procuratore Sergio Mola, che ha chiesto l’apertura di un’indagine penale per tre possibili reati: traffico di persone, vendita di bambini o appropriazione di minori.
Il venerdì la coppia di italiani ha usato un’altra strategia: volare tutti e quattro, inclusa la madre surrogata. Secondo fonti giudiziarie, gli italiani avevano prenotato un volo per mezzogiorno, ma alla fine aveva deciso di imbarcarsi con un volo Air France che parte il venerdì poco prima di mezzanotte. A quel punto, l’ufficio Migrazione aveva già lanciato un allerta e quando l’aereo stava per decollare, il giudice ha firmato il divieto di lasciare il Paese e il gruppo è stato fermato nell’area di pre-imbarco.
Al momento la bambina è stata affidata alla coppia di italiani che nel frattempo ha affittato un appartamento a Buenos Aires. I due uomini si sono impegnati a non portare la bambina fuori dal Paese, ha detto a La Nacion l’avvocato che li rappresenta nel caso, Arnaldo Germán Pereira Dos Santos. Stando alle prime indiscrezioni, la donna ha raccontato agli investigatori di essere stata contattata tramite un gruppo Facebook e di aver avuto un offerta di 10 milioni di pesos (poco più di 9mila euro). La giustizia ha elementi per sostenere che la donna, 28 anni, lo ha fatto perché, come si legge nelle carte, ha una pessima situazione economica, non ha un lavoro, non ha finito la scuola e sta crescendo da sola una figlia minorenne. “È in una situazione di estrema vulnerabilità”, ha detto un funzionario che conosce il caso. La coppia, sempre stando al racconto della donna, l’ha iscritta a un piano Swiss Medical e le ha fatto firmare una serie di documenti che non ha compreso appieno. Ha raccontato che dopo sei mesi di gravidanza i due italiani le hanno pagato i sei milioni, che lei voleva usare per costruire una stanza nella casa di sua madre, ma che poi si è resa conto che quello che aveva ricevuto non era abbastanza.
Quella della gestazione per altri “è una questione che in Argentina non è stata legiferata. La stiamo studiando. È un caso molto difficile”, ha dichiarato un inquirente che si sta occupando del caso, precisando che non è ancora chiaro quale sia il reato, né chi siano gli autori, anche se si ritiene che sia l’organizzazione che ha messo in piedi il business approfittando dei bisogni delle persone. Negli ultimi mesi sono stati aperti casi simili in diverse parti del Paese e attualmente sono in corso indagini su oltre 100 casi di presunta tratta. Inoltre, a Cordoba, lo scorso luglio, sono state convocate per un interrogatorio nove persone accusate di aver reclutato donne in situazioni di vulnerabilità. Il provvedimento comprendeva i proprietari di due cliniche di fecondazione assistita che offrivano il servizio a chi voleva diventare genitore, avvocati che si occupavano degli aspetti legali, e psicologi che certificavano l’idoneità delle donne reclutate per queste procedure.
Fonti informate hanno fatto sapere all’agenzia Ansa che, fin dalla prima segnalazione, la Farnesina è in contatto con il consolato generale a Buenos Aires e che seguono il caso con la massima attenzione, prestando ai connazionali ogni necessaria assistenza consolare.
“In Argentina non c’è una legge che vieta la GPA”, ha commentato Filomena Gallo, avvocata in contatto con oltre 30 coppie che hanno iniziato un percorso di GPA all’estero e Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni con cui ha depositato in Parlamento una proposta di legge per legalizzare in Italia la Gravidanza per altri solidale, “sono i tribunali che intervengono per verificare le procedure. Lo scenario in cui una coppia viene fermata all’estero non si verificherà, se la GPA avverrà in paesi in cui la tecnica è legale. Le coppie potrebbero essere perseguite in Italia, dopo l’entrata in vigore della legge Varchi, non ancora pubblicata in Gazzetta Ufficiale e quindi non ancora in vigore, ma non avrebbe potuto comunque essere motivo di fermo perché la nascita è avvenuta il 10 ottobre e la norma penale non è retroattiva. Il caso argentino evidenzia quanto sia importante che i paesi si dotino di leggi chiare e precise, per evitare ogni forma di abuso e tutelare la libera scelta delle donne e i diritti dei nati. Per questo, dopo l’approvazione della legge abbiamo scritto alle ambasciate per chiedere il loro intervento in difesa delle leggi in vigore nei loro paesi a tutela dei diritti dei cittadini italiani, che hanno scelto di diventare genitori attraverso la gravidanza per altri, accedendo alla tecnica dove è legale”.