Ritardi, fondi mancanti, problemi a non finire. La prossima grana per i Giochi del Mediterraneo si chiama Via del Mare: lo stadio di Lecce pure dovrà essere ristrutturato. Ma col nuovo mega progetto voluto dal governo non potrà essere pronto in tempo per la manifestazione. A meno di non sfrattare la squadra giallorossa. Non c’è pace le Olimpiadi in miniatura che dovranno tenersi in Puglia nel 2026. Proprio adesso che il peggio sembrava essere passato. Dal governo sono arrivati nuovi fondi, altri 25 milioni di euro, che serviranno a finanziare la gestione delle gare, a cui nessuno aveva pensato (l’esecutivo aveva stanziato ben 275 milioni per le opere dimenticandosi però la cassa del Comitato). A Taranto stanno finalmente partendo i lavori principali – è stato aperto il cantiere del Palazzetto del nuoto, per lo stadio Iacovone sono già state affidate le prime demolizioni – che più preoccupavano gli organizzatori. Chiuso il fronte tarantino, però, rischia di aprirsene un altro imprevisto a Lecce.
Anche lo stadio del capoluogo salentino fa infatti parte del masterplan, da sempre: qui si disputeranno alcune gare minori del torneo di calcio. Doveva pensarci il Comune, che però in estate ha alzato bandiera bianca, mollando la grana al commissario Massimo Ferrarese, che si avvarrà per la progettazione di Sport e Salute. Il vero problema del Via del Mare, però, è che il progetto come spesso accade in Italia nei grandi eventi è cambiato nel corso del tempo, si è dilatato: inizialmente doveva essere solo un piccolo restyling, 11 milioni di euro per rifare gli spogliatoi e alcuni interventi di facciata. In estate però sono arrivati altri 25 milioni, che porta il totale quindi a 36, per fare le cose in grande: verrà realizzata una copertura totale degli spalti, trasformando l’impianto in un’eccellenza regionale. Un ampliamento fortemente voluto dall’ex ministro Raffaele Fitto, che prima di volare in Europa aveva messo le mani sul grande evento che riguarda la Regione di cui è stato governatore, con un occhio di particolare riguardo per il suo Salento. Ma come al solito al governo hanno fatto i conti senza l’oste, o meglio senza le maestranze che poi i lavori devono farli.
Il vecchio progetto prevedeva essenzialmente dei ritocchi esterni, in tempi circoscritti, senza troppi disagi. Con il nuovo cambia tutto: bisogna toccare la struttura dell’impianto. La precedente amministrazione comunale aveva preparato solo un documento di indirizzo, che prevedeva 12 mesi per la realizzazione, chiaramente sottostimati. Una volta che il progetto è finito sul tavolo del commissario, è stato subito evidente il problema: per finire entro l’estate 2026, considerando che ad oggi non c’è ancora nulla (né un progetto definitivo, figuriamoci la gara), bisognerà lavorare a tappe forzate, chiudendo lo stadio. Ma non si può fare: ci gioca il Lecce e bisognerebbe sfrattarlo. Un po’ lo stesso problema che si è posto con lo Iacovone, con la differenza che mentre per il Taranto in Serie C una soluzione si può trovare, spostare in pianta stabile una squadra di Serie A è davvero complicato, oltre a causare un danno economico alla società del presidente Sticchi Damiani.
L’alternativa è realizzare l’intervento in parallelo alle partite di campionato, lavorando a spicchi sull’impianto, un po’ come è stato fatto di recente a Bergamo e Udine. Ma lì infatti i cantieri sono durati anni, un tempo che il commissario non può permettersi: i decreti con cui sono stati stanziati i fondi prevedono infatti che gli interventi debbano concludersi in tempo per i Giochi. Ad oggi, vista l’impossibilità materiale di rispettare questa condizione, non si può nemmeno bandire la gara. Si rischia di perdere i fondi. Escludendo l’ipotesi di cacciare il Lecce, servirà allora una deroga del governo che autorizzi a realizzare solo una parte (le tribune, ad esempio), e finire il resto (le curve) dopo il 2026. Un’opera per una manifestazione che non sarà pronta per la manifestazione. Il solito paradosso dei grandi eventi in Italia.