L’ultimo caso scoppiato in Spagna il 24 ottobre, che riguarda nientemeno che il portavoce nel Parlamento di Sumar, Iñigo Errejón, fa riemergere il dibattito sul patto patriarcale. Quello che è stato il co-fondatore del partito Podemos con Pablo Iglesias, e più tardi fondatore di Más Madrid, è stato raggiunto da varie denunce di molestie sessuali che hanno aperto il vaso di pandora di quello che già viene definito come il #metoo spagnolo.

Il 24 ottobre è arrivata la rinuncia totale e immediata alla vita politica di Errejón via lettera, dove il politico spiegava di doversi fermare per motivi di salute mentale. Nello stesso momento però su varie piattaforme femministe cresceva il rumore per una denuncia pubblicata sull’account Instagram della scrittrice e giornalista Cristina Fallarás, dove si faceva riferimento a un politico di Madrid.

Con l’esplosione del caso a livello mediatico, quello che era un “segreto a voce” nelle stanze del potere dentro gli ambienti di sinistra spagnoli ha provocato uno tsunami. Le denunce si sono moltiplicate, non solo sui social ma anche nei commissariati (come quella dell’attrice Elisa Mouliáa): testimonianze durissime di come in questi anni di politica Errejón abbia usato il suo potere per infliggere maltrattamenti psicologici alle sue vittime, realizzare molestie sessuali come pratica abituale, assumendo il ruolo di predatore sessuale e promovendo relazioni tossiche. Tutto questo mentre dalla tribuna parlava di femminismo, rispetto e promozione del ruolo delle donne nella società, lotta al patriarcato, eliminazione dei comportamenti machisti, etc.

Lo scandalo e la delusione nell’elettorato sono enormi e c’è chi afferma che questa sia stata la pietra tombale di Sumar (nato su impulso di Yolanda Díaz) che già si trova alle corde. Partito che avrebbe coperto il comportamento di Errejón, nonostante già si sapesse di altre denunce. Nel frattempo la società civile organizzata risponde e la storica Ong spagnola Movimento per la Pace ci aiuta a definire in modo netto a cosa ci stiamo riferendo quando parliamo di patto patriarcale: una rete di complicità e silenzio che permette che abusi e violenze sessiste continuino a verificarsi, protetti da una società che guarda dall’altra parte.

Il patto patriarcale è un accordo tacito e codardo che, dal potere e dalla comodità dei privilegi maschili, sceglie il silenzio e protegge gli aggressori, lasciando le vittime senza giustizia, senza voce, e in molti casi, nell’oscurità dell’indifferenza

Il “caso Errejón” fa eco a quanto successo dall’altra parte dell’Atlantico dove, solo da agosto di quest’anno, si contano almeno altri quattro casi di molestie e violenze che riguardano uomini di spicco della sinistra latinoamericana. Il peronista Alberto Fernández (ex presidente argentino), il filosofo Silvio Almeida (ex Ministro dei Diritti Umani in Brasile), il leader indigeno Evo Morales (ex presidente della Bolivia) e il medico socialista Manuel Monsalve (sottosegretario agli Interni del governo cileno).

Per quanto riguarda Alberto Fernández, ad agosto è stata resa nota una denuncia di Fabiola Yáñez, sua ex moglie, che da Madrid ha interposto un’azione legale contro di lui. Yañez ha denunciato di aver subito violenze di genere per cinque anni: maltrattamenti fisici, maltrattamenti psicologici e un aborto procurato. Il suo calvario risale al 2016, con le prime violenze fisiche, quando suo marito l’avrebbe poi costretta ad abortire. Una violenza fisica quotidiano iniziata dopo che Yañez trovò video di Fernández con altre donne. L’ex presidente argentino si difende, ammettendo le discussioni e le liti ma negando le violenze.

Dall’Argentina al Brasile, solo 20 giorni dopo il caso Fernández, per l’esplosione dello scandalo del Ministro dei diritti umani, il filosofo Silvio Almeida. Cessato dal suo incarico dal presidente Lula il 6 settembre, di fronte alle indagini nate per le denunce di molestie sessuali contro di lui. Almeno 4 casi di donne le cui testimonianze sono state raccolte dalla piattaforma #MeToo Brasile, denunce tra le quali ci sarebbe anche quella della ministra Anielle Franco (sorelle di Marielle Franco). La delusione è palpabile perché Almeida era specchio del Brasile nero, con voglia di riscatto e capace di parlare di giustizia sociale e diritti. Lui però si è difeso con un comunicato dove dichiara di star subendo un attacco razzista e che si difenderà nelle sedi opportune.

E dal Brasile alla Bolivia, dove Evo Morales è accusato di stupro nei confronti di una ragazzina di 15 anni. I fatti risalgono al 2017 e l’adolescente avrebbe un figlio con l’ex presidente. Un caso che dentro la grande polarizzazione politica del paese andino sta creando uno scandalo che secondo Morales risponde ad un piano per minarne la credibilità. Non è però la prima volta che Morales però deve affrontare accuse di questo genere, anche se ora non ha il potere dalla sua parte.

La carrellata finisce con le dimissioni, il 17 ottobre, di Manuel Monsalve, sottosegretario agli Interni del governo del presidente Gabriel Boric: una rinuncia che arriva dopo l’accusa di abusi sessuali e stupro, ai danni di uno degli uomini chiave de La Moneda. Un colpo al cuore per un governo nato con uno spiccato manifesto femminista nel 2022.

“Fino a che la vergogna non cambi di schieramento”: non solo una frase, ricordata pochi giorni fa anche da Gisele Pélicot, ma un grido di battaglia nella lotta femminista contro gli abusi sessuali nascosti, permessi e taciuti dentro il patto patriarcale. Anche negli ambienti di “sinistra”… E se pensiamo poi che lo stesso Errejón ha scritto il prologo del libro La superioridad moral de la izquierda (2018) abbiamo una prova in più, se ancora ce ne fosse bisogno, di quanto il patriarcato sia subdolo.

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