Quanto è lontana la rivalsa del derby per Fonseca. Che la vittoria con l’Inter rischiava soltanto di rinviare la crisi un po’ si sapeva. Certo neanche il più pessimista dei tifosi rossoneri immaginava di ritrovarsi a questo punto della stagione non solo in ritardo in campionato (-11 dalla vetta, con una gara in meno), ma anche senza il proprio beniamino. Ancora più inquietante della situazione in classifica c’è infatti quella di Leao, alla seconda panchina consecutiva, sempre più ai margini di una squadra di cui fino a ieri era la stella indiscussa. In casi del genere di solito si crocifigge l’allenatore. Eppure se la guardiamo nel merito, è difficile non stare dalla parte di Fonseca. Leao, potenziale campione, non ha fatto il salto di qualità definitivo. Anzi è totalmente involuto. Nei numeri (l’anno scorso non ha raggiunto nemmeno la doppia cifra, quest’anno è fermo a una rete sola), soprattutto nell’atteggiamento. Le sue proverbiali pause all’interno della stagione e della singola partita si dilatano sempre di più. Non corre, non pressa, non rispetta alcuna consegna tattica che non sia sprintare e dribblare sulla sua unica fascia di competenza, risultando alla lunga sempre più un problema e sempre meno una soluzione per i compagni di squadra.

Un allenatore non può accettare un comportamento del genere, da bambino viziato. E Fonseca non lo sta facendo. Leao è finito in panchina contro la Lazio, il match della sceneggiata durante il cooling break (insieme a Theo i due non si erano riavvicinati alla panchina). Poi di nuovo contro l’Udinese, e infine ancora nel big match contro il Napoli. Il segnale è chiaro. Il tecnico portoghese sta dimostrando coraggio, catapultato in un contesto ostile da una società evanescente. Lo stesso ambiente che in principio non lo voleva oggi probabilmente gli riconosce il merito della coerenza e del coraggio delle idee, con cui sta provando a imporsi, faticosamente e senza grandi risultati, va detto. Tutti i ragionamenti sul torto e la ragione però si fermano di fronte a una considerazione sconfortante per i tifosi rossoneri: oggi Leao è quasi un corpo estraneo. Al punto che il Milan si è presentato senza di lui nella serata crocevia della stagione, nonostante avesse già mezza squadra titolare fuori: invece di aggrapparsi all’unico campione rimasto, ha preferito lasciarlo in panchina. E infatti ha perso, anche per questo, perché oggettivamente l’undici messo in campo con i vari Okafor, Musah, Chukwueze non era una squadra da scudetto.

È banale dirlo ma il Milan non può permettersi di perdere Leao, come non potrebbe permetterselo nessuna squadra. Da un punto di vista tecnico (la perdita di potenziale è devastante per le ambizioni sportive), per non parlare di quello economico tanto caro alla proprietà Redbird (significa depauperare un asset prezioso). Su questo Fonseca deve interrogarsi, anche perché la sua cura purtroppo per entrambi non sembra funzionare. Leao, che da Pioli era sempre stato coccolato, non ha reagito allo schiaffo a fin di bene di Fonseca, anzi se possibile si è ancora più incupito, tra una smorfia in campo e un post sui social. Anche domenica contro il Napoli è entrato indolente e svogliato: mentre i suoi compagni meno dotati si dannavano l’anima per recuperare un risultato compromesso lui trotterellava in mezzo all’area. Ormai è un caso. E quando il giocatore più forte della tua squadra diventa un problema, è sempre una sconfitta. Per tutti. Figuriamoci per l’allenatore che lo ha lasciato fuori. Povero Fonseca, non gliene va bene una: ha torto pure quando c’ha ragione.

X: @lVendemiale

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