Diritti

Sempre più giovani nelle carceri per adulti: col decreto Caivano un detenuto su otto ha meno di 25 anni. I reparti separati? Non esistono

Poco più di un anno fa, il 30 giugno 2023, i minori di 25 anni reclusi nelle carceri per adulti italiane erano 3.274. Oggi sono 5.067, quasi 1.800 in più: un detenuto su otto appartiene a questa fascia d’età. Il dato, inedito e aggiornato al 2 ottobre, è contenuto nella risposta del ministro della Giustizia […]

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Poco più di un anno fa, il 30 giugno 2023, i minori di 25 anni reclusi nelle carceri per adulti italiane erano 3.274. Oggi sono 5.067, quasi 1.800 in più: un detenuto su otto appartiene a questa fascia d’età. Il dato, inedito e aggiornato al 2 ottobre, è contenuto nella risposta del ministro della Giustizia Carlo Nordio a un’interrogazione parlamentare di Devis Dori, avvocato e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, che lo definisce “una vera abnormità“.

L’incredibile impennata, nell’ordine del 35% in appena 15 mesi, è il frutto della politica repressiva del governo e in particolare del decreto Caivano, che ha facilitato il trasferimento dei giovani adulti dagli istituti minorili a quelli ordinari. Dalla risposta del ministro, poi, emerge una circostanza altrettanto clamorosa: in quasi tutti i penitenziari del nostro Paese gli under 25 condividono gli spazi con i reclusi più anziani, nonostante la legge imponga di assicurare la separazione. A causa di questa violazione di diritti, denuncia Dori, giovani che potrebbero seguire un “proficuo percorso rieducativo” sono costretti a convivere con detenuti adulti, “alcuni anche delinquenti abituali, frustrando quel percorso”. In questo modo, il carcere rischia di trasformarsi in “scuola del crimine anziché luogo di rieducazione”, dice al fattoquotidiano.it.

Nell’interrogazione, presentata il 13 settembre, il deputato di Avs chiedeva di “indicare quanti giovani adulti, cioè detenuti fra i 18 e i 25 anni d’età, si trovino attualmente negli istituti penitenziari minorili (Ipm, ndr) e quanti invece nelle strutture carcerarie per adulti“. Chi delinque da minorenne, infatti, di regola può scontare la pena in Ipm anche dopo la maggior età, fino al compimento dei 25 anni, a meno che non sussistano “particolari ragioni di sicurezza valutate dal giudice”.

Il decreto Caivano, varato dal governo a settembre 2023 come reazione allo stupro di due bambine nel comune del Napoletano, ha declinato queste “ragioni” in modo assai estensivo, imponendo ai direttori degli Ipm di chiedere il trasferimento al magistrato di Sorveglianza se un detenuto maggiore di 21 anni, “alternativamente, compromette la sicurezza o turba l’ordine negli istituti, impedisce le attività degli altri detenuti con violenza o minaccia” o ancora “si avvale, nella vita penitenziaria, dello stato di soggezione da lui indotto negli altri detenuti”. Se invece un giovane recluso si rende responsabile “cumulativamente” di più di una di queste condotte, lo spostamento dev’essere richiesto già dopo il compimento dei 18 anni. E il magistrato può negarlo “solo per ragioni di sicurezza, anche del detenuto medesimo”. L’effetto della nuova disciplina è stato di gonfiare il numero di trasferimenti, contribuendo al boom delle presenze di under 25 nei penitenziari per adulti.

Anche lì, però, a questa particolare categoria di detenuti dovrebbero essere garantiti spazi separati dai più anziani, come previsto dall’articolo 14 della legge sull’ordinamento penitenziario. Infatti, ricorda Dori nella sua interrogazione, “la convivenza dei giovani adulti con detenuti adulti è valutata negativamente dagli operatori perché compromette il loro percorso rieducativo, anche nell’ottica della riduzione della recidiva, nonostante gli sforzi educativi e formativi messi in atto”.

Il parlamentare quindi chiedeva a Nordio di indicare “in quante strutture carcerarie per adulti siano presenti settori dedicati esclusivamente ai giovani adulti”. La risposta del ministro è disarmante: “Allo stato, sezioni specificamente destinate all’allocazione dei giovani adulti sono presenti presso le Case circondariali di Aosta Brissogne, Cuneo e Milano San Vittore“. Cioè tre istituti sui 190 presenti in Italia. Di fatto, riassume Dori, il ministro “ammette di non essere in grado di garantire la separazione” imposta dalla legge, con tutti i rischi che ne conseguono. L’appello quindi è obbligato: “Chiediamo a Nordio di non girare la testa dall’altra parte e di affrontare e risolvere questo problema, anziché investire il suo tempo per riformare le intercettazioni o separare le carriere dei magistrati”.