Oltre cento morti, decine e decine di dispersi, comuni sott’acqua e ponti distrutti. Nell’area a Sud e a Est di Valencia, in modo particolare, durante le piogge torrenziali che hanno colpito anche altre zone della Spagna, sono caduti in otto ore circa 490 millimetri d’acqua, ossia la quantità media che abitualmente cade in un intero anno. Le inondazioni hanno travolto tutto e i cittadini sono stati presi alla sprovvista. Il Paese ha già conosciuto tempeste di questo tipo, soprattutto durante l’estate e l’autunno, ma così non si erano viste da circa cento anni. Cosa c’entra il cambiamento climatico con tempeste che nel Mediterraneo occidentale i meteorologi conoscono bene? “È vero che fenomeni di piogge intense di questo tipo non sono una novità, anche in Italia, ma oggi sono amplificati dal riscaldamento globale. Dunque piove di più, con maggiori danni. E se contro inondazioni di tale portata e inadeguatezza delle infrastrutture è difficile agire tempestivamente, almeno si dovrebbe fare qualcosa per evitare le vittime” spiega a ilfattoquotidiano.it Luca Mercalli, climatologo, divulgatore scientifico e presidente dell’associazione Società Meteorologica Italiana. La tempesta che ha sconvolto la Spagna, tra l’altro, ha molto in comune con quanto accaduto nelle scorse settimane in Italia. Perché tante vittime? “La mancanza di tempestività nel dare l’allerta e la forte urbanizzazione del territorio sono stati certamente due fattori che molto hanno inciso sul numero delle vittime della tempesta”.

La tempesta che ha travolto Valencia I meteorologi spagnoli la chiamano ‘Dana’, acronimo di Depresion Aislada en Niveles Altos. “Loro la chiamano così, ma in termini pratici è quanto anche l’Italia ha già sperimentato, anche di recente. L’aria fredda presente in quota si accumula e rimane isolata rispetto al flusso principale – spiega Mercalli – formando una depressione che si scontra con una massa di aria calda”. Un fenomeno che tocca uno stesso luogo anche per lunghi periodi e può essere, anche per questa ragione, particolarmente devastante. Già normalmente, d’estate e anche d’autunno tendono a formarsi perché la temperatura del mare è più alta. L’ultima delle tempeste più devastanti che la Spagna ricordi risale al 1982, la pantanada de Tous ma, in quel caso, agli effetti del diluvio si sommarono una serie di eventi imprevisti, come la mancanza di corrente elettrica e un guasto della gruppo elettrogeno di emergenza con la rottura della diga originale dell’embalse de Tous. L’inondazione fu devastante. La violenza della tempesta avvenuta, però, nell’area di Valencia tra martedì pomeriggio e mercoledì mattina, non ha precedenti nell’ultimo secolo.

Come il cambiamento climatico ha inciso (in Spagna e anche in Italia) “Il riscaldamento globale, infatti, mette in circolo più energia e vapore acqueo. Il Mediterraneo è caldo, ha accumulato calore durante l’estate e adesso lo sta rilascia con gli interessi. Circa 490 millimetri di acqua – aggiunge il climatologo – sono quanto in Sicilia cade in un anno, solo che nell’area di Valencia è accaduto tutto in otto ore”. Una dinamica che si è riscontrata anche in alcune aree d’Italia negli ultimi mesi. Cosa c’è di diverso, ad esempio, con quanto accaduto in Emilia-Romagna? “In Emilia Romagna c’era una minore componente temporalesca rispetto a quanto avvenuto a Valencia, ma da noi l’Appennino – come accade anche in Liguria – ha avuto un ruolo maggiore, ostacolando il defluire delle perturbazioni. Di fatto, entrambi gli elementi – la presenza di una catena montuosa e di un mare – sono fattori che possono generare piogge violente, ma che ci sono sempre stati”. Le montagne e il mare sono sempre stati lì. “Ciò che è cambiato e, quindi, fa la differenza in termini di impatti – aggiunge – è proprio il fattore legato al riscaldamento globale, che rende il mare più caldo. Questo vuol dire piogge più intense”.

Perché così tante vittimeMercalli ricorda che da circa trent’anni i meteorologi dicono che questi fenomeni saranno sempre più violenti e sempre più frequenti. Vale anche per gli uragani degli Stati Uniti. Eppure, evidentemente, i territori non sono ancora preparati. Lo dimostra il caso di Valencia dove, oltre al fattore meteorologico, almeno altri due fattori hanno inciso sul numero di morti. In queste ore, in Spagna, è sotto accusa la gestione dell’emergenza da parte del presidente della regione di Valencia, il popolare Carlos Mazón, accusato di aver sottovalutato per ore la portata dell’alluvione. Un primo allarme rosso era stato infatti lanciato dall’autorità meteo nazionale (Aemet), martedì alle 7. Ma solo 11 ore dopo, esattamente alle 20.03, quando tutta la zona era già travolta dell’inondazione, è arrivata sui cellulari dei residenti l’invito urgente della Protezione civile a non muoversi in tutta la provincia. “Da quello che ho appreso, pare che abbiano ridotto i servizi di protezione civile e questo potrebbe aver inciso sul ritardo nel dare l’allarme” spiega il meteorologo. Ma c’è anche il fatto che l’alluvione ha colpito una zona super urbanizzata. “Basta guardare le immagini dei cumuli di auto, ho visto foto con trecento auto ammassate in una strada. L’alluvione e i danni – aggiunge – sono il combinato disposto dell’interazione tra pioggia, territorio e numero di persone che ci abitano. I fenomeni che colpiscono città sono quasi sempre più letali. In Italia, lo abbiamo visto con le alluvioni di Genova del 2011 e del 2014”. Solo che certamente questi fenomeni si ripresenteranno.

Mercalli: “Prima dell’emergenza, bisogna spiegare alle persone cosa fare” “L’obiettivo principale deve essere almeno quello di salvare vite umane” commenta Mercalli. In Emilia-Romagna ci sono volute diverse alluvioni che hanno seminato morte, per far calare drasticamente il numero delle vittime. “Va detto che l’Emilia-Romagna ha uno dei servizi meteorologici migliori del Paese. L’Arpa Emilia-Romagna è stato il primo servizio regionale d’Italia nei primi anni Ottanta. Quindi ha una lunga esperienza, anche di comunicazione con il pubblico” spiega Mercalli, secondo cui l’allerta rossa data ha ridotto di molto il numero delle potenziali vittime. “Sono state 17, ma potevano essere molte di più, anche cento o duecento” spiega. “Sulle infrastrutture, case, strade, capannoni, è più difficile agire, perché quelli ormai sono lì e prenderanno sempre fango. Purtroppo – aggiunge – è l’effetto di aver costruito troppo senza leggi sul consumo di suolo e questa mancanza la pagheremo cara, ma almeno possiamo e dobbiamo fare qualcosa per evitare le vittime. E in Italia c’è il Dipartimento di protezione civili nazionale, che mette insieme tutti i servizi regionali. Direi che le allerte non sfuggono più, questo lavoro negli ultimi anni è servito a salvare molte vite umane”. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare, anche in Italia. “Fuori dalle emergenza, bisognerebbe spiegare alle persone come comportarsi quando c’è l’allerta. Perché – spiega il climatologo – le alluvioni avvengono in pochi minuti e bisogna capire subito cosa fare, a seconda di dove sei. In certi casi è meglio restare a casa e magari andare ai piani superiori, in altri conviene muoversi per non rischiare di affogare in casa. C’è veramente tanto bisogno di organizzare esercitazioni di protezione civile, come fanno in Giappone per i terremoti”.

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