Non tutti si sono pentiti dei truci atti ma il primo a farlo fu Andrea Volpe che oggi rilascia un’intervista al Venerdì di Repubblica
Mariangela Pezzotta, Chiara Marino, Fabio Tollis: sono le vittime conclamate del gruppo a vocazione satanista che a cavallo tra i due millenni ha seminato orrore e morte nel varesotto. Tutti, anche all’estero, conoscono le Bestie di Satana, sospettati di circa 18 crimini tra omicidi e suicidi indotti, commessi tra il ’98 e il 2004. Vennero condannati solo per tre omicidi e per il suicidio indotto di Andrea Bontade di cui fu occultato anche il cadavere. Ma la loro furia assassina non era diretta solo al genere umano. Ci furono le pecore scuoiate vive e trovate nel rimorchio di un camion a Samarate, le sparizioni di gatti neri sacrificati chissà per quale rito: le storie di satanismo erano all’ordine del giorno in quegli anni nella provincia lombarda dove ha agito il gruppo di giovani che oggi sfiorano i 50. Non tutti si sono pentiti dei truci atti ma il primo a farlo fu Andrea Volpe che oggi rilascia un’intervista al Venerdì di Repubblica.
Il più bel trucco del diavolo
“Isidon” incontra il cronista sul lago di Comacchio, a Ferrara, distante dai boschi prealpini che furono teatro della loro delirante saga dell’orrore. Oggi, da quando quattro anni fa ha lasciato il carcere ferrarese si è trasferito nella zona dei lidi. Ha 48 anni, un lavoro e un libro in cui ha raccontato la sua versione dell’apocalisse ispirata al “numero della Bestia” dell’apocalisse di Giovanni. Volpe è pronto ad attraversare il prossimo girone infernale della sua vita: l’imminente morte per Aids di Sebastian, suo marito. “Mi sto preparando, so che non manca molto, che potrebbe succedere ogni giorno. Me lo ripetono i terapeuti, continuo a dirmelo tutte le volte che esco di casa. È grazie a lui che sto capendo finalmente cosa vuol dire perdere la persona che ami. Il dolore che hanno provato quelle a cui le ho tolte io. Prima di Sebastian io non sapevo cosa fosse l’amore”. L’inferno che lui stesso ha generato è racchiuso nelle oltre 330 pagine de “Il più bel trucco del diavolo” di Gianluca Herold, uscito tre giorni fa per Rizzoli. Dietro l’elegante citazione si apre l’abisso delle Bestie in una confessione senza veli né sconti. Cominciare a parlare, a raccontare, è stato un enorme sospiro di sollievo per Volpe. “Ora so che questo libro mi porterà i riflettori addosso, e qualche polemica. È inevitabile. Lo accetto. Sono pronto. Mi sono liberato di tutto, a poco a poco, come non avevo fatto nei processi, negli interrogatori, ovviamente in carcere dove stavo in isolamento”. Nel libro, oltre ai fatti che già conosciamo ci sono le botte prese dalla madre, le violenze che avrebbe subìto dal fratello e da un sacerdote, la vita spenta e nichilista di una provincia industriale che ha portato all’abuso di alcol e speed. “Ma questo non mi toglie un grammo di responsabilità. Non c’è causa ed effetto. Potevo fare altre scelte, in ogni momento. E non le ho fatte”, spiega oggi.
Gli omicidi
Andrea Volpe partecipò direttamente agli omicidi di Fabio Tollis e Chiara Marino, anche loro membri del gruppo e uccisi dai loro sodali. I due furono massacrati a martellate, la notte del 18 gennaio 1998. Così come prese parte al delitto dell’ex fidanzata Mariangela Pezzotta, avvenuto nel giorno di capodanno del 2004 a Somma Lombardo. Fu proprio la scoperta del suo cadavere, seppellito in una buca nei pressi di uno chalet, a far partire l’indagine e rendere nota a tutti la vicenda delle Bestie di Satana. Racconta Volpe: “Devo dire che in quel momento, e per molti anni a venire, Fabio e Chiara per me erano come oggetti, ostacoli da eliminare. Non mi fregava nulla di averli ammazzati. Non ero in grado di elaborare. Oggi è diverso. Non sarei in grado di chiedere perdono ai familiari, quello no, la considererei una ulteriore violenza verso di loro. Le mie parole non possono cambiare nulla, il mio messaggio è nel percorso che ho fatto e continuo a fare. Certo, se qualcuno mi chiedesse un incontro, non chiuderei la porta. Per Mariangela era diverso, il pensiero va a lei ogni giorno. Per nove anni avevamo vissuto un attaccamento malato e lei di me, di noi, sapeva tutto. Non la sentivo come una minaccia, ma c’era questa ossessione: dalle Bestie non ci si poteva allontanare. Io stesso vivevo in attesa che gli altri venissero ad ammazzarmi. Ed ero disposto ad affrontarli, pur di uscire da quella situazione. Li ho aspettati di notte, col fucile in mano, settimane intere. Finché una notte me lo sono puntato contro. Per stanchezza. Non ce la facevo più. Se devo trovare un senso alla morte di Mariangela, è che è stata il finale di tutto. È servita a fare emergere tutto lo schifo”.
Volpe fu arrestato subito dopo insieme alla sua complice Elisabetta Ballarin. Da lì la Bestia si frantumò. “Ma se non mi avessero preso, io avrei continuato a uccidere. Dico di più: se non avessi incontrato le Bestie e gli altri, avrei ucciso comunque. Non ho dubbi. Mai però i miei genitori, nonostante tutto quello che ho patito da piccolo. Loro non sono mai stati un mio bersaglio: se avessi tolto la vita a un mio familiare mi sarei sentito perduto per sempre. Se mi credete, avere una famiglia è stata sempre una cosa troppo importante. Senza, un uomo non è più un uomo. E oggi che ho la mia, e sto per perderla, lo so ancora meglio”, aggiunge.
Una vita normalissima
Volpe in carcere, dove ha trascorso quasi vent’anni della sua vita, ha riscoperto la fede. “Certo che ho fede! Per me è come respirare, è una condizione base. Tutti crediamo in qualcosa. Non credo alle religioni, anche per tutto quello che ho vissuto. Tutto questo dolore che avevo dentro, e che non ero in grado di gestire, per anni mi ha accompagnato su questo doppio binario di distruzione e autodistruzione. Continuavo a spingere sull’acceleratore anziché rallentare. In carcere mi sono detto che non potevo uscire peggio di com’ero entrato. Tanto valeva cominciare a costruire qualcosa. Studiare, fare progetti, rivendicare qualche diritto mettendoci la faccia e il corpo. Anche per gli altri, per la prima volta in vita mia. Quello di Ferrara è un istituto duro, a volte punitivo, ti può lasciare a marcire nell’inedia più totale se non provi a rialzarti da solo. Il mio è stato un lungo processo di consapevolezza. E poi è arrivato Sebastian. L’amore. Che da qualche parte doveva esserci. L’ho trovato in un luogo di sofferenza. E con una persona con cui non avrei mai immaginato. Il mio primo uomo”. Un uomo che Volpe ha sposato a inizio di quest’anno, nonostante il virus dell’Hiv fosse già in circolo. Nonostante tutto prova a immaginare una nuova vita, distante da quella segnata da croci rovesciate e tatuaggi “che ho deciso di non togliere proprio perché sarebbe ingiusto cancellare. Eravamo quattro scapezzati, altro che 666 e tutto il resto. Mi fa ridere oggi quella roba. Eravamo scemi che tragicamente hanno ucciso, ed è una cosa troppo grande, che non puoi rimuovere. Sarebbe pericolosissimo. Potrei ricaderci. Il riscatto è un percorso, la possibilità te la devi guadagnare, non puoi cedere. Ho un traguardo davanti: una vita normalissima. Il condominio di voci che avevo in testa da ragazzo ha smesso di parlare. E questo mi dà finalmente un po’ di respiro. Ma per quello che ho fatto, in pace non sarò mai. Ed è giusto così”.
Le altre Bestie oggi
Gli altri membri della setta sono tutti in libertà o semiliberi, tranne i due ergastolani. Il primo è Nicola Sapone, detto Onussen, l’idraulico di Dairago, sui cui grava un doppio ergastolo per gli omicidi di Fabio Tollis, Chiara Marino e Mariangela Pezzotta. A Bollate dov’è detenuto, si è diplomato e poi laureato in filosofia e continua a proclamarsi innocente come l’altro ergastolano Paolo Leone detto Ozzy, detenuto a Bergamo dove coltiva l’amore per la musica. Lui era il leader ideologico, il Charles Manson del gruppo. Mario Maccione si faceva chiamare Ferocity ed era minorenne quando prese parte all’agguato a Chiara e Fabio, suo grande amico. Era il medium del gruppo, convinto di poter contattare forze demoniache soprannaturali. Ha raccontato tutto in un libro e vive in provincia di Sassari dove si dedica a musica e scrittura e dove ha anche aperto uno sportello di ascolto, non senza scatenare la rabbia dei familiari delle vittime della setta. Eros Monterosso era Kaos ed è in affidamento ai servizi sociali. Lavora per il tribunale di Pavia, in carcere si è laureato in sociologia. Mentre è in attesa dell’affidamento Marco Zampollo, detto Kill. Esce ogni giorno dal carcere di Monza per lavorare in biblioteca. Pietro Guerrieri, l’operaio tatuatore, è stato l’unico a pentirsi pubblicamente e in lacrime. Si faceva chiamare Wedra ed è stato il primo a tornare libero. Pare sia tornato a vivere nel suo paese, Brugherio, con la madre. Non era membro ufficiale della setta Elisabetta Ballarin che ha scontato la sua pena nel carcere di Verziano, per il coinvolgimento nell’omicidio di Mariangela Pezzotta. Si è laureata all’Accademia di Santa Giulia con una tesi su “Educare all’arte. La didattica museale incontra il privato alla Galleria Arei”. Ha poi frequentato il biennio di specializzazione in grafica e comunicazione. Ha lavorato nell’ufficio turistico di Monte Isola e in un ristorante in provincia di Brescia. Oggi vive all’estero. E poi c’è Andrea Volpe che con le sue confessioni svelò gli orrori della brughiera compiuti fra Somma Lombardo e Arsago Seprio.