Dopo il Covid-19, la capitale francese s'è resa conto di poter soddisfare il fabbisogno dei suoi abitanti per meno di una settimana. E allora corre ai ripari, ipotizzando anche stoccaggi sotterranei di cibo
In caso di catastrofe naturale, come un’esondazione della Senna (come per esempio quella epocale del 1910), che comporterebbe il blocco delle strade e dei treni, isolando la città, Parigi avrebbe un’“autonomia alimentare” da cinque a sette giorni al massimo, potrebbe cioè soddisfare il fabbisogno alimentare dei suoi abitanti per meno di una settimana, a causa di capacità di stoccaggio insufficienti. Mentre il sud-est della Spagna è devastato dall’alluvione, lo studio inedito dell’Apur, il Laboratorio parigino di pianificazione urbana, il primo di questo tipo in Francia, pubblicato in settimana, sembra oggi spaventosamente attuale.
È stato lo stesso Comune di Parigi a commissionare lo studio all’associazione nell’ambito della sua “strategia di resilienza”, lanciata nel 2022, dopo l’esperienza della crisi sanitaria del Covid-19, quando gli scaffali dei supermercati si sono incredibilmente svuotati, e sulla scia della protesta degli agricoltori francesi e europei a inizio anno in particolare contro la PAC, la Politica agricola comunitaria, creando ovunque blocchi stradali. L’idea è in sostanza, come precisa il comune in una nota di martedì, “anticipare delle situazioni di crisi”, legate non solo al riscaldamento climatico ma anche all’instabilità geopolitica.
L’obiettivo è di trovare soluzioni per portare l’autonomia alimentare della capitale a 100 giorni. Parigi (senza includere i comuni delle sue periferie) conta 2,1 milioni di abitanti. Stando ai calcoli dell’Apur, i parigini consumano in media 1,45 chili di cibo a testa ogni giorno: servono quindi 3.090 tonnellate per fornire 6,5 milioni di pasti ogni giorno. Contando anche la periferia, il fabbisogno triplica: servono 10.060 tonnellate di cibo per sfamare il “Grand Paris”. L’Apur ha evidenziato le principali fonti di stoccaggio della città: i magazzini logistici alimentari, i negozi e ristoranti, i siti di produzione locale e le dispense individuali (che in genere presentano tra 1,5 e 5 giorni di riserve). Ha messo anche in evidenza un altro problema: Parigi non produce abbastanza e soprattutto produce beni “ad alto valore aggiunto”, come miele, zafferano o spezie, che però non sfamano i parigini.
Oggi la capitale può contare sul mercato internazionale di Rungis, uno dei maggiori mercati agroalimentari di prodotti freschi al mondo, che si trova a meno di dieci chilometri a sud di Parigi, non lontano dall’aeroporto di Orly. Un primo progetto già in studio è di costruire dunque un “Rungis 2”, ma nel nord, nel caso in cui la città si trovasse divisa in due per esempio da un’alluvione importante. L’Apur propone di moltiplicare i siti di stoccaggio in città, convertendo dei parcheggi in disuso (ovviamente non i ginnasi che sono destinati ad accogliere le vittime), o recuperando dello spazio nei padiglioni dei parchi delle esposizioni o persino nelle sale di spettacolo, ma anche di variare le modalità di trasporto dei beni alimentari, che oggi circolano essenzialmente su strada via camion (il 95%), potenziando il trasporto fluviale e ferroviario. Una pista a cui sta lavorando il Comune è di realizzare, sin dal 2025, uno “spazio-test sotterraneo” di stoccaggio alimentare: “L’idea a lungo termine è di avere una rete di granai locali, come quelli che esistevano in questa città molto, molto tempo fa”, spiega Pénélope Komitès, vicesindaco e responsabile del piano di resilienza della città.
Non necessariamente per stoccare il cibo sempre sul posto, ma “per poterlo fare in caso di rischio imminente”. Dei siti verranno scelti e potrebbero essere già presentati nel prossimo Progetto locale della pianificazione urbana. Il Comune potrebbe fornire anche ai parigini una “check-list alimentare” per aiutarli a costituire in casa il proprio stock “utile” di beni essenziali per far fronte a crisi eventuali e questo perché “la Francia – osserva ancora Pénélope Komitès – non ha la cultura del rischio che hanno i Paesi asiatici o nord-americani”. Bisognerà dunque rimediare agli errori del passato. Come fa notare l’architetto Alexandre Labasse, direttore dell’Apur, nel corso degli anni la capitale ha ridotto i suoi siti di stoccaggio alimentare. E ricorda il caso dei Grands Moulins di Parigi, sul lungo Senna, nel XIII arrondissement, trasformati in campus universitario nei primi anni 2000. “Durante il periodo di Covid, quando nei supermercati non c’erano più né pasta né carta igienica, ci siamo resi conto che tutto il nostro sistema era basato sul flusso – spiega Labasse –. In contrapposizione alla logica dello stock, che era all’origine delle prime città della Mesopotamia che invece conservavano i loro raccolti”.