Scalfaro mi chiese di rinviare la pubblicazione della notizia sull’invito a comparire del 1994 a Berlusconi”. Paolo Mieli, ospite a La Confessione di Peter Gomez il 2 novembre alle 20.15 su Rai3, racconta particolari ancora inediti a distanza di 30 anni da quel 22 novembre 1994. “Lei ha raccontato che la notte prima di mandare in stampa il giornale (Il Corriere della Sera, ndr) con la notizia, scrisse la sua lettera di dimissioni. C’era davvero il rischio che ai suoi cronisti fosse stata passata una polpetta avvelenata?”, ha chiesto il conduttore. “Io ho pensato che i magistrati potessero revocare quell’ordine di notte – ha spiegato Mieli – Ci sono ancora molte cose che io non ho raccontato. Parlai con il capo dello Stato (Oscar Luigi Scalfaro, ndr), il capo dello Stato parlò con Borrelli (capo della procura di Milano, ndr), insomma sono cose complicate. – ha proseguito – Mi fu chiesto di non pubblicare”. “Chi le chiese di non pubblicare? Il capo dello Stato?”, ha domandato ancora Gomez. “Il capo dello Stato mi chiese di rinviare la pubblicazione per tanti motivi. – ha risposto il giornalista – Lei sa meglio di me: quando uno ha uno scoop di quel tipo, rinviarlo significa bruciarlo ed essere fucilato dai giornalisti che ce lo avevano in mano”, ha detto ancora l’editorialista del Corsera.

“Quindi Borrelli sapeva dal Capo dello Stato che il Corriere sarebbe uscito…”, ha ribattuto il direttore de Il Fatto Quotidiano. “Certo. Prima di pubblicare lo scoop telefonai io stesso al capo dello Stato. Parlai con Oscar Luigi Scalfaro, il quale mi disse: ‘Mi dia tempo di…’. Voleva capire che non gli stessi dicendo delle stupidaggini. Telefonò a Borrelli, ebbe conferma e mi richiamò, questa volta lui, e mi disse effettivamente: ‘Le cose stanno così’. Era una delle conferme che io ebbi, abbastanza importante”. Poi, a Mieli arrivarono altre conferme “relative ai miei giornalisti e anche personali”. “Parlò con qualcuno dell’entourage di Berlusconi?”, ha domandato infine Gomez. “No. Stetti bene attento a non parlare con nessuno. Né della mia proprietà, non dissi nulla neanche all’avvocato Agnelli. L’unica cosa, per rispetto e per correttezza, avvertì quello che era allora era il presidente della Rizzoli-Rcs, che era Alberto Ronchey. Lo avvertii e lo vidi molto imbarazzato. Lo chiamai alle 21, ci incontrammo. Eravamo, tra l’altro, molto amici. Ma non avvertii nessun altro”, ha concluso Mieli.

Articolo Precedente

I familiari delle vittime di mafia: “Giù le mani da Scarpinato e De Raho. Colosimo? Rabbia e dolore per la sua amicizia con Ciavardini”

next
Articolo Successivo

Scarpinato denuncia: “Stragi di mafia? La maggioranza ignora le piste che portano a casa loro, vogliono riscrivere la storia”

next