Cinema

The Substance, il body horror con Demi Moore e Margaret Qualley contro la cultura della bellezza a ogni costo

di Davide Turrini
The Substance, il body horror con Demi Moore e Margaret Qualley contro la cultura della bellezza a ogni costo

Il Ritratto di Dorian Gray immerso nel sangue, nelle membra scoppiate e dilaniate, nella mostrificazione grottesca di un body horror tutto al femminile. Chissà che effetto farà The Substance di Coralie Fargeat al pubblico italiano. Già fatichiamo a digerire i generici spaventi del thriller/horror, figuriamoci quando la cifra gore e la totalizzante trasformazione fisica degli attori prendono il sopravvento sulla trama. The Substance, inoltre, è uno di quei film che i recensori anglosassoni, più che spiegare o interpretare, riempiono di aggettivi roboanti fino all’affogamento del lettore. Del resto l’opera seconda della francese Fargeat è prima di tutto un’esperienza visiva, quasi sensoriale sulla percezione culturale della bellezza femminile che non richiede troppe linee di dialogo; due protagoniste due (Demi Moore e Margaret Qualley) con un terzo vertice maschile di contorno, volontariamente frullato e macchiettistico come Dennis Quaid; e una macchina da presa incollata a questi involucri di pelle che si gonfiano, sgonfiano, guizzano, marciscono.

Una tale parossistica vicinanza e osmosi, una tale smania di ossessiva mutazione dei corpi di Moore e Qualley, che quasi ci si dimentica che ci siano delle attrici a recitare. La 50enne Elisabeth (Moore), popolare protagonista di un programma tv di aerobica seguito in mezza America, viene fatta sloggiare dagli studi perché sta diventano vecchia. A seguito del classico incidente d’auto a un incrocio, Elisabeth viene contattata da un infermiere giovane tutto tirato a lucido e robotico che riesce ad instillarle il dubbio sull’uso possibile di The Substance: un siero di eterna giovinezza da iniettare in vena che farà nascere proprio dentro al proprio corpo una creatura più giovane, un doppio di sé che sbucherà dalla schiena improvvisamente aperta per metà, in questo caso con le sembianze della splendida Sue (Qualley).

Per mantenere questa doppia presenza, i due sé – che sarebbero una persona sola, ovvero Elizabeth – devono alternarsi in pubblico una settimana per uno: mentre Elisabeth dopo aver fatto nascere il suo doppio riposa nuda in uno sgabuzzino dietro al bagno di casa, Sue diventa la nuova diva dell’aerobica in tv al suo posto. Chiaro che Sue, avendo le stesse necessità di affermarsi, essere adorata per la propria bellezza, rimanere giovane e avvenente, utilizzerà la dotazione aggiuntiva di linfa di The Substance per intensificare l’effetto freschezza. Peccato che tutta la linfa che Sue si spara nel midollo è sostanza vitale che viene a mancare ad Elisabeth. La donna comincerà così a deperire repentinamente diventando vecchissima, prima con un dito raggrinzito, poi con una gamba incartapecorita, poi nel viso distrutto e infine diventando un gobbo sgorbio calvo e putrescente. A questo punto le due figure femminili non potranno che cercare di eliminarsi l’un l’altra, anche se il loro destino biologico è rimanere un corpo solo (e che corpo).

The Substance produce in sottofondo un ghigno continuo e satireggiante sull’idea di bellezza che la donna vive indotta dalla società dello spettacolo (dallo sguardo maschile e dall’autodefinizione parossistica di sè), mai indulgente verso le due protagoniste (Quaid, il boss della tv è a sua volta un essere repellente nella sua sgargiante eleganza), aggrappato ai tratti esasperati di una regia che indugia in infuriati grandangoli, dettagli corporei mutanti e sanguinanti, linee di esplorazione spaziali anticonvenzionali. A ciò va aggiunto un lavoro mastodontico e folle del production designer Stanislas Reydellet (I fiumi di porpora) a formare mobilio, pavimenti, piastrellature dalla colorazione satura, patinata, vagamente inquietante, ed esterni plastificati di una Beverly Hills surreale appena accennata. Le citazioni implicite (Cronenberg, il film Adrenaline del 1990) ed esplicite (Kubrick, De Palma) si sprecano e vengono come lanciate con quell’irruenza irrefrenabile di regia nel voler stupire masticando ogni resistenza logica dello spettatore. Produzione anglo-franco-americana non proprio di nicchia. Nelle sale italiane con I Wonder.

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