Calcio

Adolfo ‘Dodo’ Sormani, il Cicerone italiano nel calcio delle Far Oer: “I vivai sono il male. Qui i bambini sviluppano la tecnica divertendosi”

Stanco di un calcio, quello italiano soprattutto, in cui non si riconosce più, l’allenatore Adolfo Dodo Sormani a inizio anno si è trasferito nelle Isole Far Oer, dove sabato 2 novembre sulla panchina di HB Tórshavn, la più titolata squadra dell’arcipelago, si giocherà in un derby capitolino la coppa nazionale. Da quando è alla guida […]

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Stanco di un calcio, quello italiano soprattutto, in cui non si riconosce più, l’allenatore Adolfo Dodo Sormani a inizio anno si è trasferito nelle Isole Far Oer, dove sabato 2 novembre sulla panchina di HB Tórshavn, la più titolata squadra dell’arcipelago, si giocherà in un derby capitolino la coppa nazionale. Da quando è alla guida dell’HB ha già vinto la supercoppa. In campionato, che si è appena concluso, è arrivato terzo. Lo “scudetto” è stato vinto dalla sorpresa Víkingur Gøta, formazione che da anni lavora bene nel settore giovanile, secondo posto per KÍ Klaksvík, club che frequenta l’Europa da alcune stagioni.

Sormani, figlio dell’oriundo Angelo, ha allenato nelle giovanili di Juventus e Napoli, ha lavorato al Südtirol, in Albania, in Danimarca e ha fatto il vice a Zola nel Watford. Mister, come si sta nelle Isole Far Oer?
Qui ho ritrovato quei sentimenti già provati precedentemente in Inghilterra e in Danimarca. C’è un grande rispetto per la figura dell’allenatore che è ancora al centro del progetto. Ti permettono di lavorare, insomma. Sei più coinvolto dal punto di vista manageriale, in tutto ciò che tocca anche la situazione di campo. In Italia ormai uno vale l’altro. Non mi riconoscevo più in quel calcio.

Lì come è il livello calcistico?
Qui i bambini si muovono da soli e dopo la scuola si fermano a giocare nei campetti. In pratica non esiste criminalità. Dal punto di vista coordinativo sono molto molto meglio degli italiani. Breve inciso: le scuole calcio in Italia sono la rovina del pallone. Nelle Far Oer i bambini si divertono e poi con il pallone sviluppano capacità tecniche pazzesche. A 16 anni manca però l’ultimo step, peccano di tattica individuale. L’esiguo numero di competitors fa il resto: con la qualità emergi subito, ma gli avversari non aumentano mai di livello. Poi penso che per mancanza di personalità anche quelli bravi non si impongono all’estero.

Lei ha fatto esordire Dávid Reynheim, classe 2008, ora al Torino.
Non aveva neanche 16 anni e abbiamo chiesto un’autorizzazione particolare, è stato complesso anche dal punto di vista burocratico. Un ottimo attaccante, mi dicono si sia già abituato all’Italia. Con noi aveva segnato anche nella Supercoppa.

Che tipo di calcio viene fatto nell’arcipelago?
I giocatori sono predisposti a giocare a calcio, i ragazzi hanno degli spunti di natura individuale che non ho visto in altri Paesi. Viene loro naturale giocare la palla e essere propositivi. Mi ricordo il Watford con Zola, all’inizio della preparazione avevamo soprattutto inglesi, era difficile inculcargli idee di gioco, soprattutto ai difensori centrali che calciavano lungo. In Danimarca è lo stesso che in Inghilterra, anche se lì producono comunque tantissimi giocatori da esportare all’estero perché sanno lavorare bene nei settori giovanili.

Le Far Oer a che Paese guardano?
Sono legati alla Danimarca, essendo una Nazione costitutiva del Regno di Danimarca. Ma guardano a tutto il calcio scandinavo, il campionato norvegese per esempio sta diventando importante.

I calciatori fanno altri lavori?
Gli stranieri, che sono tanti, fanno i professionisti puri. Altri hanno impegni comunali, fanno per esempio gli accompagnatori dei bambini. Non lavori usuranti e comunque ho visto tanti professionisti in giro per il mondo arrivare stanchi all’allenamento.

Come sono gli impianti e come vengono organizzate le trasferte di campionato?
Le strutture sono molto buone, si gioca sul sintetico per via del clima. Le trasferte le facciamo in auto o in bus, mai con traghetti perché tutte le città sono collegate da tunnel sotterranei, lo spostamento più lungo non è andato oltre l’ora e un quarto.

Come si è abituato allo stile di vita dell’arcipelago?
Per sei mesi fa buio a mezzanotte, ma appena arrivato a gennaio il sole tramontava già alle 14. Avevo già vissuto questa esperienza in Danimarca, ma non in maniera così forte. Io sono per metà brasiliano e a volte fatico, ma la vita quotidiana e il loro rispetto per le persone aiutano a colorare la mancanza di luce. Ti lasciano vivere le abitudini di un italiano, se rispetti le loro. La cucina è ottima, qui c’è un mare assai pescoso e la qualità è incredibile. Salmone e baccalà buono come da nessuna altra parte.

L’esperienza più forte vissuta?
Il contatto con la natura è molto intenso, non ero abituato. Vicino al mare, ma al sicuro con i piedi ben piantati a terra, io e il mio vice abbiamo assistito ad una tempesta in una situazione estrema. È stata un’esperienza incredibile.