di Marco Leonardi e Leonzio Rizzo (fonte: lavoce.it)

Ridurre il carico fiscale su pensionati e lavoratori dipendenti con reddito medio è possibile. Basta portare la tassazione su donazioni e successioni ai livelli di altri paesi europei. Una semplice modifica delle aliquote darebbe un gettito di 3,5 miliardi.

L’Irpef pagata solo da lavoratori dipendenti e pensionati

La legge di bilancio appena approvata in Consiglio dei ministri contiene molte conferme di misure già in vigore (rivisitazione della decontribuzione e Irpef a tre aliquote) e molte poche novità. Anche perché l’unica vera novità sostanziale doveva essere lo sgravio Irpef per le classi medio-alte. Che ora è appeso ai risultati del concordato biennale/condono, che però è temporaneo e difficilmente potrà consentire il gettito permanente che servirebbe per coprire una riduzione di imposte permanente.

L’unica via seriamente percorribile è quella di ipotizzare una riallocazione della pressione fiscale verso basi imponibili attualmente poco colpite e che non abbiano nulla a che fare col rendimento dell’impiego di fattori produttivi come possono essere il capitale e il lavoro.

La tassazione sul reddito da lavoro dipendente è oggi in Italia particolarmente gravosa per livelli di reddito medi. Infatti, successive stratificazioni – e ora un deliberato intento di favorire il lavoro autonomo – hanno dato vita a un modello di fisco per cui di fatto l’Irpef grava solo su pensionati e lavoratori dipendenti, con un reddito medio. I lavoratori autonomi fino a 85mila euro di fatturato hanno la flat tax al 15 per cento, i proprietari di case pagano sul canone di locazione il 21 per cento, sui redditi finanziari la tassazione è del 26 per cento e nel caso di titoli di stato del 12,5 per cento e così via. Le società pagano una Ires del 24 per cento sui profitti. Sono, tra l’altro, tutte imposte proporzionali e non progressive come l’Irpef.

La gran parte della pressione fiscale progressiva pesa interamente sulla cosiddetta fascia medio-alta di lavoratori dipendenti che va da 40mila a 70mila euro.

Invece, le imposte sulle proprietà (mobili e immobili), di cui parte gravano su successioni e donazioni, sono proporzionalmente molto inferiori in Italia rispetto ad altri paesi come mostra la tabella 1. La Francia tassa successioni e donazioni 15 volte di più, il Regno Unito e la Spagna 7,5 volte in più. D’altro lato, l’Italia mostra una pressione fiscale su redditi e profitti che supera del 16 per cento quella di Francia e Regno Unito e del 35 per cento quella della Spagna.

Questi dati ci dicono che è sostenibile avere una pressione fiscale più bassa sul lavoro e anche sui profitti, nel caso in cui però si accompagni a una maggiore pressione fiscale su altre basi imponibili, come ad esempio le proprietà.

Agire sull’imposta di successione

Se vogliamo abbassare la tassazione sui redditi da lavoro dipendente in modo permanente, senza dovere ogni anno avere il problema del suo finanziamento, è necessario spostare il prelievo sulle cosiddette rendite, che non sono il frutto dell’impiego di lavoro e capitale, senza ovviamente aumentare la pressione fiscale complessiva, ma solo per recuperare le risorse per finanziare la minor pressione fiscale sul reddito da lavoro.

Ciò potrebbe essere fatto introducendo un’imposta di successione in linea con quella di altri paesi. Attualmente, in Italia, per le successioni tra parenti in linea retta (coniuge e figli) vi è una franchigia di un milione di euro, oltre la quale si comincia a pagare una quota costante del 4 per cento. Nel caso di fratelli, la franchigia è di 100mila euro, oltre cui si paga il 6 per cento. Per tutti gli altri non vi è franchigia e si paga l’8 per cento. In Spagna e in Francia (ove il coniuge è esente) il sistema è progressivo e le franchigie sono molto più basse. Nel Regno Unito (anche in questo caso il coniuge è esente) si applica il 40 per cento e anche le franchigie sono molto più basse che in Italia.

Il gettito dell’imposta su successioni e donazioni per l’Italia è poco meno di un miliardo, per la Francia invece si aggira attorno ai 18 miliardi.

È possibile mostrare come si possano recuperare 6 miliardi lasciando invariate le franchigie vigenti nel nostro paese e applicando la tassazione progressiva per classi di patrimonio, così come accade in Francia. Se abbassassimo anche le franchigie a 350mila euro per la successione con i parenti in linea retta e a 60mila euro per i fratelli, arriveremmo a un gettito di 10 miliardi. In alternativa, si potrebbe avere un’opzione più morbida, con identiche franchigie a quelle attualmente vigenti e un’aliquota del 30 per cento una volta che siano superate: in tal modo si recupererebbero un po’ più di 3,5 miliardi.

L’imposta sulle successioni è spesso vista come ingiusta perché verrebbe tassato qualcosa che già è stato tassato in passato. Tuttavia, se si pensa a questo intervento accoppiato a una diminuzione della tassazione sul reddito da lavoro, allora ci si può rendere conto che l’aumento dell’imposta di successione potrebbe essere visto come una posticipazione dell’imposta sul reddito da lavoro, nel momento in cui di parte di esso (il risparmio) si appropria chi non ha contribuito a generarlo (l’erede).

La riallocazione della pressione fiscale dal reddito da lavoro alla rendita da successione e donazione deve essere fatta a parità di pressione fiscale, ovvero l’aumento di imposte pagate sulle eredità e donazioni deve essere esattamente compensato dalla diminuzione di quelle pagate sul reddito da lavoro. Adottando ad esempio la proposta morbida, con un gettito di oltre 3,5 miliardi, l’operazione permetterebbe di finanziare lo sgravio Irpef per redditi medio-alti, il cui costo potrebbe aggirarsi tra 2 e i 4 miliardi, a seconda delle opzioni scelte. E tutto sarebbe realizzato allineando in parte la tassazione delle successioni e donazioni a quella di paesi a noi confrontabili.

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