Rinviare il concordato fiscale è una scelta di buon senso. Più sono gli incassi più si tagliano le tasse al ceto medio. A cominciare dall’Irpef”. Il vicepremier Antonio Tajani sabato mattina, via X, ufficializza la linea di Forza Italia. I termini per aderire al concordato preventivo tra partite Iva e Agenzia delle Entrate, chiuse alla mezzanotte del 31 ottobre nonostante i ripetuti appelli dei commercialisti per un rinvio, devono essere riaperti. Dopo aver negato senza appello la proroga, il ministero dell’Economia dovrebbe insomma aprire una seconda “finestra” con nuove scadenze, magari fino a fine anno. L’ipotesi piace ai professionisti che da settimane chiedono più tempo per valutare la convenienza della misura alla luce delle tante modifiche alle norme sul patto con il fisco approvate in corsa per renderlo più attrattivo – vedi l’aggiunta di una sanatoria sul pregresso riservata a chi aderisce – e dei continui aggiornamenti in arrivo dalle Entrate sotto forma di risposte alle domande frequenti dei contribuenti. Forza Italia e Fratelli d’Italia sostengono l’idea, mentre il Pd con Antonio Misiani la bolla come “una cosa penosa” che “dimostra la resa totale del fisco” e Tino Magni di Avs aggiunge che “la lotta all’evasione e all’elusione fiscale non si fa con il concordato, ma con i controlli”.

In concreto, secondo gli addetti ai lavori una eventuale riapertura difficilmente avrebbe un impatto significativo sul numero di partite Iva disposte a concordare con le Entrate le tasse da pagare per gli anni 2024-2025 (solo il 2024 per chi ha la flat tax) in cambio sulla carta di minori accertamenti. I giochi ormai sono fatti. Per il viceministro con delega al fisco Maurizio Leo (FdI) il dato cruciale è quindi quello sui risultati ottenuti fino a ieri, con l’aggiunta delle adesioni in arrivo tra qualche giorno dai commercialisti che hanno aderito allo sciopero indetto da quattro sigle per protesta contro la mancata proroga della scadenza. Le risorse aggiuntive legate all’ipotetico concordato bis arriverebbero peraltro troppo tardi per poter coprire interventi da inserire nel ddl di Bilancio ora all’esame della Camera. Tradotto: il primo obiettivo a cui punta il governo, ridurre dal 35 al 33% la seconda aliquota Irpef che grava sui redditi da 28.001 a 50mila euro, va centrato con il gettito che arriverà dalla prima tornata. Servono 2,5 miliardi di euro.

Per conoscere con precisione l’incasso ci vorrà una decina di giorni, come spiegato da Leo. “Siamo molto fiduciosi”, assicura ad Affaritaliani Marco Osnato, responsabile economico di Fratelli d’Italia e presidente della Commissione Finanze della Camera. Come scritto due giorni fa dal fattoquotidiano.it, le stime dei commercialisti scommettono in media su un 15% di adesioni da parte di una platea di 2,73 milioni di autonomi e società soggetti agli Indici sintetici di affidabilità fiscale e 1,8 milioni di partite Iva in regime forfettario (la flat tax al 15%). Si parla quindi di poco meno di 700mila contribuenti. In termini numerici si tratterebbe evidentemente di un flop. Discorso diverso quello relativo ai ricavi per l’erario, appesi a molte variabili. Per esempio gli aderenti saranno per la maggior parte forfettari o contribuenti Isa? Da questo dipende sia la portata dei redditi che saranno assoggettati alle aliquote agevolate previste sulla differenza tra il reddito dichiarato l’anno prima e quello concordato con il fisco sia l’effettiva “convenienza per lo Stato” rivendicata dagli spot del Mef. Va considerato che i forfettari a questo punto dell’anno hanno già le idee chiarissime su quanto guadagneranno nel 2024, per cui se hanno aderito è perché l’offerta delle Entrate è inferiore ai loro redditi effettivi. Allo stesso modo, i soggetti Isa hanno accettato solo se prevedono che l’anno prossimo incasseranno più di quel che crede il fisco.

Altro fattore importante sarà l’affidabilità fiscale media dei soggetti Isa che firmano l’accordo: chi non arriva al 6 ed è dunque considerato un probabile evasore dovrà versare il 15%, i “virtuosi” solo il 10%. Cruciale, poi, risulterà la partecipazione al “ravvedimento speciale” per l’evasione fatta negli anni dal 2018 al 2022, che la maggioranza ha voluto offrire proprio per aumentare l’appetibilità del concordato. È riservato alle partite Iva a cui si applicano gli Isa (all’ultimo minuto sono state ripescate anche quelle che nel 2020 hanno sono uscite dal regime causa perdita di ricavi legata al Covid), mentre i forfettari sono esclusi. Per mettersi in regola si paga un’imposta sostitutiva dal 10 al 15%, in base al proprio punteggio, su un imponibile costituito dal reddito già dichiarato per quell’anno incrementato di una quota fissa che dipende sempre dal punteggio Isa (dal 5% per i più virtuosi al 50% per chi ha Isa inferiore a 3). Come calcolato dall’Osservatorio sui conti pubblici dell’università Cattolica, si tratta del condono più generoso dai tempi degli scudi fiscali di Berlusconi: consente di versare solo il 5-7% del dovuto e “chi paga percentualmente di meno è chi aveva dichiarato di meno rispetto al reddito effettivo”. Lo Stato, insomma, perde almeno il 95% di quanto avrebbe incassato senza sanatoria. Ciò non toglie che gli incassi potrebbero essere importanti. La somma minima da pagare per ravvedersi è di 1000 euro, che su cinque annualità diventano 5mila. Se anche solo 400mila contribuenti accettassero, il governo centrerebbe l’obiettivo dei 2 miliardi nonostante il sostanziale fallimento del concordato.

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