di Paolo
La sanità ha i suoi problemi e non abbiamo bisogno che la politica ci dica quali siano, ma che li risolva. Nella regione Lazio, sono stato ricoverato nel 2019 e dato che non c’era spazio al pronto soccorso, ho passato un giorno nel corridoio con un pannolone, senza traversina e con le persone che ti camminavano accanto. Ti danno una mozzarella, ma se gli chiedi di togliere l’acqua, non lo fanno perché non sono tenuti a farlo. Non voglio infierire perché hanno i loro problemi e io sono stato anche fortunato.
Voglio però raccontare una vicenda più leggera a distanza di pochi mesi.
Previa impegnativa dal medico, ci sono due modi per farsi fare un’analisi del sangue. La prima è prenotare un biglietto elimina-code direttamente on-line e scegliere il luogo e il giorno del prelievo, infine ti verrà recapitata una e-mail di riepilogo; la seconda è recarsi direttamente la mattina presso l’Asl, pigiare i pulsanti sull’apparecchio chiamato “totem”, stampare il biglietto con il numero e attendere il proprio turno. In entrambe i casi si può ritirare il referto on-line.
Sino a pochi mesi fa, ha funzionato tutto come di consueto.
Giorni fa eseguo la medesima operazione e mi si propone di aspettare due mesi, così mi reco all’Asl alle 8, dove un gentile operatore mi dice che i numeri sono finiti e di tornare il giorno dopo tra le 6:30 e le 7:15. L’indomani gioco d’anticipo e parto alle 5:30 da casa. Mi sono sentito catapultato al tempo della scuola, quando mio padre e la sua imperscrutabile silhouette a mezza porta mi sibilava l’orribile notizia: invece di prendere il pullman, mi avrebbe accompagnato lui. Sapete come sono i genitori e la loro sempiterna teoria dell’”era di strada”. Così si partiva quando c’erano i lupi, perché lui aveva impostato 70 destinazioni diverse e poi mi abbandonava ad un incrocio, caso mai gli avessi scombinato l’itinerario. Vi dico solo che ormai ero io ad aspettare l’inserviente che aprisse i cancelli e non viceversa.
Comunque arrivo all’Asl alle 6 e ho già 23 persone ad aspettare davanti ai cancelli chiusi. Un buon samaritano ha piazzato una pila di post-it con dei numeri scritti a penna, sull’angolo di marmo poco sotto l’inferriata. Se qualcuno non si fosse lamentato della calligrafia, non avrei mai immaginato di dovermi anticipare prendendo quel numero e il motivo è che ci si era pure azzuffati.
Mi volto e vedo gente rannicchiata in auto che ha preso il numero ed è tornata a dormire. E’ notte fonda e siamo tutti in cerchio, una via di mezzo tra un gruppo che racconta storie di paura attorno al fuoco e un gruppo di sostegno che parla della sanità, ma credo che a volte le due cose coincidano.
Un signore lombardo che segue una terapia dice che nella mia città non riesce a prendere le pasticche per il cuore, perché gli si è risposto che è necessario un piano terapeutico e quindi per il momento se le fa spedire direttamente con un corriere. Devono essere le meraviglie della sanità regionalizzata.
Ci fanno entrare alle 7:30 e nessuno di noi può toccare il “totem”, non perché siamo scimmie che rischiano di farsi incenerire dal monolite, ma perché c’è una gentile guardia giurata a pigiare i tasti per noi e a distribuire i biglietti. Come ho detto, c’è gente che si era azzuffata e i numeri sono limitati a 50. Alle 9 finalmente chiamano il mio numero e scopro che metà degli esami che mi servono l’Asl non li esegue, così mi faccio fare quel che posso.
Sono sempre stati bravissimi ma quel giorno non trovano la vena e mi traforano il braccio sinistro, poi dal momento che giravo con un contenitore con le feci – e ho ancora un braccio buono – vado da un privato a fare il resto. Il parcheggio a quell’ora non si trova, lascio la macchina duecento metri dal centro e alla fine giro con due braccia bucate dopo aver preso anche le pasticche per la pressione. Gli esami posso ritirarli tra 8-10 giorni, cammino fiero perché ho fatto tutto, anche se sembra mi sia distaccato da una manifestazione per l’orgoglio tossico.