Hai voglia a fare referendum, dibattiti pubblici e parlamentari, discussioni nelle cancellerie. “Loro” hanno già deciso: il nucleare va bene. I data center che servono per far funzionare l’Intelligenza artificiale sono “mostri” che divorano energia, consumano quanto intere città. E questa energia, da qualche parte va trovata, il prima possibile. Se poi si vuole evitare […]
Hai voglia a fare referendum, dibattiti pubblici e parlamentari, discussioni nelle cancellerie. “Loro” hanno già deciso: il nucleare va bene. I data center che servono per far funzionare l’Intelligenza artificiale sono “mostri” che divorano energia, consumano quanto intere città. E questa energia, da qualche parte va trovata, il prima possibile. Se poi si vuole evitare di aumentare ulteriormente le proprie emissioni di Co2, il nucleare sembra la quadratura del cerchio. Così tutti i big della tecnologia, da Amazon a Google o Microsoft hanno deciso di puntare con decisione sull’atomo, in particolare sulla tecnologia dei piccoli reattori (smr) di cui per ora esistono solo prototipi e sulla cui tempistica di effettiva realizzazione i dubbi non mancano. Ma tant’è.
Google ha stretto un accordo con Kairos Power per la fornitura di sette reattori smr, se e quando saranno realizzati. Nelle idee (sogni?) di Google, già a partire dal 2030 e pure Amazon ha annunciato ingenti investimenti nella stessa tecnologia. Dopo questi annunci il produttore di uranio per centrali Comeco ha visto salire le sue quotazioni da 37 a 54 dollari ad azione. Le azioni di Constellation energy, che gestisce centrali nucleari tradizionali, sono passate da 175 a 264 dollari. Sì perché, in attesa dei nuovi piccoli reattori, si punta sulle centrali già in funzione. Microsoft ha stretto un accordo con Constellation Energy Group affinché venga rimessa in funzione la centrale nucleare di Three Miles Island, in Pennsylvania, dove, nel 1979, si verificò il più grave incidente nucleare nella storia degli Usa. Dal 2028, l’unità 1 produrrà energia per alimentare le strutture del gruppo tecnologico. Amazon web services (la divisione che si occupa di spazi cloud e data center) stanzia 650 milioni di euro per consentire ai suoi impianti di attingere all’energia prodotta dalla centrale nucleare di Susquehanna.
Ora, qui si apre una serie di problemi. Il primo riguarda i reattori smr. La fattibilità, economicità e tempistica di questi mini impianti, con capacità fino a 300MW, restano delle incognite. Di smr si parla da mezzo secolo, i rinvii sono stati molti. Oggi esistono solo due prototipi, uno in Cina e uno in Russia, che però non producono elettricità. Sono stati annunciati smr per una capacità complessiva di 4GW, tuttavia, quelli effettivamente in fase di sviluppo hanno una capacità di soli 400MW mentre progetti per una capacità analoga sono stati cancellati. La data del 2030 per vedere i primi smr funzionanti resta più una speranza che un’ipotesi concreta e non è da escludere che alla fine questi reattori modulari non abbiano tutto il successo di cui sono accreditati.
Naturalmente scegliere il nucleare significa anche NON scegliere le fonti rinnovabili. Il che contrasta con le rivendicazioni di un forte impegno per un percorso di sostenibilità ambientale di cui spesso si fanno vanto questi gruppi. In realtà la loro posizione di bassi emettitori è stata sinora un’illusione ottica, costruita unicamente dalle ingenti somme spese per comprare i controversi certificati Rec (renewable energy certificates). In sostanza “documenti” che attestano che una certa quantità di energia è stata prodotta da fonti rinnovabili. Questi certificati possono essere venduti e comprati sul mercato, indipendentemente da dove è situata la fonte energetica. Già oggi Microsoft o Google consumano tanta elettricità quanto un paese come l’Irlanda, ora, l’esplosione dei consumi legati all’Ia rende insufficiente questa foglia di fico dei certificati. Il nucleare, che effettivamente emette poca Co2, è la soluzione individuata per cavarsi dagli impicci. Non emette Co2 ma, come noto, comporta una serie di altri problemi, dai rischi di catastrofe al problema dello smaltimento delle scorte e dell’acceso a un materiale come l’uranio gestito e trattato solo da alcuni paesi.
Premesso ciò, soppesare pro e contro e ritenere il nucleare una soluzione preferibile ad altre è scelta legittima. Molti paesi ospitano impianti nucleari e non alcuna intenzione di rinunciarvi. E chi invece la pensa diversamente, altrettanto legittimamente? Gruppi come Amazon, Microsoft o Alphabet (Google), valgono in borsa alcune migliaia di miliardi di dollari e dispongono di immensa liquidità (spesso parcheggiata nei paradisi fiscali). La pressione che possono esercitare sui decisori politici dei paesi di tutto il mondo è enorme. Lo è ancora di più se si parla di investimenti in quella che viene considerata una tecnologia chiave per il futuro.
Come si comporterebbe l’Italia se le venisse chiesto di accettare il nucleare come condizione per avere impianti e lavoro in questo campo? Se la condizione per aprire data center fosse quella di alimentarle con un reattore smr “made in Google”? Cosa ne sarebbe del doppio esito referendario contrario all’atomo? Facile intuire che si rischia di andare incontro ad un nuovo scenario post democratico in cui scelte cruciali per il futuro di tutti sono sottratte ai processi democratici, salvo rendervi un “omaggio” puramente formale. Non è casuale che da tempo sia in corsa una litania di dichiarazioni di politici ed imprenditori che auspicano un ripensamento in merito al “no” al nucleare pronunciato dagli italiani. E come si sa, gutta cavat lapidem. E forse pure l’uranio.