Obama ineleggibile perché “non nato sul suolo Usa”, accusa poi ripetuta anche nei confronti di Kamala Harris. Il finanziere Jeffrey Epstein ucciso in un complotto architettato da Bill Clinton. Rafael Cruz, padre del senatore repubblicano Ted, coinvolto nell’omicidio di Jfk. L’uccisione di Osama bin Laden “messa in scena” da Obama e Biden con un sosia. Il primo ministro canadese Justin Trudeau figlio di Fidel Castro. Gli uragani “guidati” dall’amministrazione Biden. E, ovviamente, i brogli che gli hanno sottratto la vittoria presidenziale nel 2020. Non c’è articolo che possa contenere il fiume di teorie cospirazioniste diffuse da Donald Trump nel corso della sua ormai non più breve carriera politica. L’attuale candidato repubblicano è diventato, in questi anni, punto di riferimento di adepti di QAnon, membri di sette, odiatori del governo federale, sostenitori dell’esistenza degli Ufo – “c’è un sacco di interesse nella gente che arriva dallo spazio”, ha detto di recente – e di ogni genere di lunatico pronto a sottoscrivere qualsivoglia teoria mirante ad alimentare dubbi e sospetti sul mondo.

In molti casi, Trump si è orgogliosamente intestato la paternità di questo mondo parallelo. In altri, ha mandato avanti adepti, collaboratori, surrogati. Succede anche in quest’ultima fase di campagna elettorale, in cui l’ex presidente non può esagerare con messaggi scopertamente divisivi e assurdi, ma non intende al tempo stesso disconoscerli, ben sapendo che questi alimentano la sua popolarità in settori consistenti di elettorato. È successo per esempio domenica scorsa, in occasione del suo comizio al Madison Square Garden di New York, quando sul palco è salito Tony Hinchcliffe, il comico che ha infiammato la campagna elettorale con la battuta su Porto Rico “isola fluttuante sulla spazzatura”. Trump ha poi detto di non conoscere Hinchcliffe, che nessuno ha mai fatto più di lui per Porto Rico, ma non ha né chiesto scusa né preso le distanze dal comico. Caso simile è quello di Marjorie Taylor Greene, la deputata della Georgia che ha spiegato che l’amministrazione Biden è stata capace di “controllare” gli uragani e guidarli contro gli Stati del Sud governati dai repubblicani. Non esiste ovviamente prova scientifica che possa alludere alla possibilità umana di “controllare” gli uragani. Trump si è comunque ben guardato dal correggere la rivendicazione della sua alleata.

A proposito di scienza. Domenica al Madison Square Garden c’era anche Robert F. Kennedy, ex democratico, ex candidato alla presidenza, attuale sostenitore della candidatura Trump, il più famoso attivista anti-vaccini d’America. Di fronte a una folla già ben predisposta – i supporter di Trump sono stati tra i più convinti avversari di limitazioni e chiusure in tempo di Covid -, Kennedy ha enfaticamente chiesto: “Siete pronti a Make America Healthy Again?”. Non sembra che il piano di radicale deregulation di Trump – in tema di leggi ambientali, controlli su ciò che gli americani mangiano, bevono, respirano, sicurezza dei farmaci – coincida davvero con quello di Kennedy. Quello che li unisce è però la volontà di acquisire il controllo politico dei “Centers for Disease Control and Prevention” (CDC) e di altre agenzie federali che hanno gestito la pandemia e che sono responsabili delle linee guida di sorveglianza epidemiologica e vaccinale. “Trump mi ha promesso il controllo delle agenzie sanitarie”, ha detto Kennedy a una recente riunione di suoi sostenitori. Non si sa quanto la cosa corrisponda a realtà o quanto sia invece un modo per ottenere l’appoggio del movimento anti-vaccini di Kennedy per poi liquidarlo a vittoria ottenuta. Da diversi esponenti della comunità scientifica sono comunque arrivate dichiarazioni di allarme non solo per le strategie vaccinali, ma anche per la futura gestione di malattie croniche come diabete e disturbi cardiovascolari, nel caso fosse il team Trump-Kennedy a conquistare la Casa Bianca.

Tra la schiera di complottisti che circonda Trump è poi ricomparso in questi giorni un nome eccellente, quello di Steve Bannon. Alcuni giorni fa Bannon, teorico del populismo più radicale e nazionalista, ha riconquistato la libertà dopo aver trascorso quattro mesi in carcere per essersi rifiutato di testimoniare davanti al Congresso nell’inchiesta sul 6 gennaio. Bannon in questi anni ha continuato a sostenere la teoria della electoral fraud, la frode elettorale, la grande cospirazione ai danni di Trump. Ancora lo scorso maggio – nel suo podcast War Room – spiegava che i democratici, non contenti di quanto già fatto nel 2020, “faranno di tutto per rubare anche queste elezioni”. Appena uscito di prigione, ha subito preparato una nuova puntata di War Room in cui ha raccontato che uno dei modi in cui i dem cercheranno di “delegittimare la vittoria di Trump” sarà quello di allungare a dismisura i tempi dello spoglio. Bannon è convinto che il 5 novembre ci si troverà di fronte alla stessa situazione del 2020. Per evitare lo stesso esito, le elezioni rubate, consiglia che Trump dichiari subito la vittoria. La teoria non fa altro che rendere ancora più teso il clima elettorale. La sera del 5 novembre, alla chiusura dei seggi, ci si potrebbe trovare di fronte a una situazione potenzialmente esplosiva.

Ovviamente la lista di chi si è messo al servizio delle teorie complottiste di Trump è lunghissima, include personalità anche eminenti del panorama politico e mediatico di Washington – dall’attivista e autore di podcast Charlie Kirk, allo speaker della Camera Mike Johnson, al deputato Matt Gaetz fino a Elon Musk – ed è stata condotta grazie anche all’azione di gruppi ben organizzati come Turning Point USA e True the Vote. Tra i tanti, si è messa in luce Laura Loomer, 31enne dell’Arizona, attivista ed ex giornalista, vista di recente spesso accanto a Trump, anche sul suo aereo personale. La cosa ha sconcertato e irritato gli stessi repubblicani: un senatore della North Carolina, Thom Tillis, ha scritto su X che “Laura Loomer è una pazza cospirazionista che regolarmente esprime spazzatura”. Loomer è da sempre prodiga di teorie cospirazioniste, da quella secondo cui l’11 settembre è stato un “lavoro interno” architettato dal governo Usa all’accusa a Kamala Harris di non essere nera e al figlio di George Soros di essere coinvolto nel tentato omicidio di Trump.

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