Analizzare misteri risolti e indagare su cold case della cronaca nera italiana insieme a criminologi, psicologi ed esperti del settore. È l’obiettivo di ‘Detectives’, programma d’approfondimento true crime di cui, domenica in seconda serata su Rai 3, andrà in onda l’ultima di sei puntate. Una trasmissione ben accolta dai telespettatori che ha sfiorato il 7% di share e che, ha tenuto a sottolineare il conduttore Pino Rinaldi, “ha uno stile sobrio e mai morboso e rientra perfettamente nel servizio pubblico”. Abbiamo raggiunto il presentatore al telefono.
Com’è nato ‘Detectives’?
Lo abbiamo costruito sul modello di un programma storico creato in Inghilterra dalla collaborazione tra BBC e Scotland Yard: “Crimewatch”. Noi abbiamo agito allo stesso modo attraverso la cooperazione tra Rai e Polizia di Stato.
Pensa che il modo di indagare sia cambiato rispetto al passato?
Oggi la scienza e il modo di condurre le indagini hanno un ruolo sempre più importante. Al di là delle varie riforme che ci sono state a livello di giustizia, l’intervento e la presenza di un’attività scientifica molto particolare e l’affinarsi delle tecniche investigative hanno determinato l’esito di tanti casi.
Il faro del programma è puntato sui cold case.
Per la prima volta dal dopoguerra a oggi, la polizia italiana ha accettato di trattare di casi non risolti. É un segno di grande maturità rispetto al passato. Prima si preferiva parlare della brillante operazione, mentre oggi ci si mette in discussione rinunciando al proprio ego con lo scopo di tornare sul caso e non abbandonarlo.
Che ruolo ha in questo la televisione?
È possibile reperire delle testimonianze. Il caso può essere risolto dopo 24 ore o dopo 24 anni. Quando non si riesce a venirne a capo nelle prime ore è facile che qualche testimone, fatto un esame di coscienza, possa dire la verità anche se è trascorso molto tempo. Dopo che abbiamo mandato in onda alcuni casi irrisolti, sono arrivati alla nostra e-mail suggerimenti e informazioni che abbiamo fornito a chi, oggi, segue le indagini e conosce perfettamente le carte.
Come mai il pubblico è attratto dai crimini irrisolti?
Il mistero ce l’abbiamo scritto nel Dna, fa parte del nostro essere.
Nella cronaca nera esiste un confine labile tra racconto e spettacolarizzazione. Quanto è difficile non oltrepassarlo?
Per me, non superare questo confine è un imperativo categorico. Ho scelto di tornare su dei casi di cui non parla nessuno e che meritano giustizia perché non voglio seguire sempre le solite storie. Né occuparmi dell’attualità, perché la possibilità di dire sciocchezze è altissima.
Eppure, oggi, capita che si sfoci nella drammatizzazione.
Ci sono delle logiche legate a risultati di share. La chiacchierata con persone che magari neanche sanno ciò che dicono su certi temi è diventata, ahimè, una modalità imperante. Io personalmente non sono d’accordo.
Perché alcune vicende rimangono sospese?
È nella natura delle cose. Non tutti i casi vengono risolti perché non vengono trovate le prove. A volte, non è possibile neanche con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione.
Qual è il caso rimasto più complicato da risolvere?
Dopo tanti anni, quelli irrisolti sono tutti difficili. Sicuramente il caso di Via Poma e quello di Chiavari di Nada Cella, due vicende simili di ragazze che sono state uccise sul luogo di lavoro. Ma anche l’omicidio Lo Presti e storie meno conosciute che hanno il diritto di utilizzare il mezzo televisivo per raccogliere testimonianze.
Purtroppo, continuiamo a sentire parlare di delitti ogni giorno.
Analizzandone la natura, ci si accorge che sono perfettamente in linea con il pensiero dominante. La società liquida ha prodotto un aumento di crimini d’impulso. Non essendoci più limiti e paletti, scattano dei meccanismi psicologici che portano a compiere azioni non premeditate.
Quindi, si è diffuso un modo di agire impulsivo.
La nostra cultura ha perso i cardini e i valori di un tempo e sono cadute alcune barriere. È aumentato all’infinito il valore dell’io. Non ci si cura più degli altri. Se qualcosa impedisce la realizzazione del proprio ego, la si cancella. Tanti delitti si commettono perché il soggetto che viene ucciso è di ingombro a questo tipo di compimento.
Una cultura dell’egoismo.
Si, è la realtà che viviamo oggi. Dobbiamo arrivare a destinazione nel tempo più veloce possibile e, se qualcuno si mette tra noi e il nostro obiettivo, può essere benissimo eliminato.
C’è un modo per cambiare il modo di pensare?
Tornare a considerare l’altro in funzione di una lettura più profonda e consapevole di chi siamo. Nel momento in cui riusciamo ad avere una visione più matura dell’uomo e del senso dell’esistenza stessa, possiamo capire cosa è importante nella vita.