di Francesco Della Corte
Sfornare pizze non aumenta la ricchezza di una comunità: la pizza è rapidamente deperibile e dunque il suo valore svanisce in un tempo di trascurabile. Confezionare abbigliamento non produce ricchezza: i capi d’abbigliamento si consumano o passano di moda. Acquistare e rivendere merci non produce ricchezza. Anche curare gli ammalati non produce ricchezza, così come educare o diffondere cultura.
Sono poche le attività che creano ricchezza materiale, mentre la maggioranza delle attività semplicemente redistribuisce ricchezza. Dunque mediamente lavoriamo otto ore al giorno, ma non produciamo ricchezza, se non in rari casi. Lavoriamo per tenere in funzione “la macchina”, contrastarne il decadimento. E l’offerta di prodotti o servizi a rapido decadimento serve a stimolarci a lavorare per tenere in funzione la stessa macchina, come un lubrificante in un motore.
Qual è il ruolo dello Stato in questo modello? Per alcuni è fare in modo che chi è capace di arricchirsi, possa farlo senza troppe complicazioni, sia anzi spronato a farlo, confidando sul fatto che creerà opportunità anche per i meno capaci. Ma questa ipotesi è quanto meno discutibile: se la ricchezza totale non aumenta, allora chi si arricchisce può solo farlo a spese di chi è meno fortunato, che invece impoverisce.
Per altri il ruolo dello Stato è invece quello di favorire la redistribuzione della ricchezza, per andare incontro a chi ha avuto meno opportunità, ad esempio con l’attivazione di servizi da sostenere attraverso le tasse. Oggi si parla continuamente di “crescita”: il dogma è che non ci può essere maggior benessere, o non si può ridurre il debito pubblico, se non c’è crescita. Ma cos’è la crescita? Il suo obiettivo è di aumentare la nostra ricchezza, o piuttosto di aumentare i consumi? Ed è veramente quello il problema?
Facciamo un esempio banale. Immaginiamo uno Stato composto da due soli individui: Tizio e Caio. Inizialmente i due hanno uguale ricchezza. Tizio investe il suo capitale per produrre grano, mentre Caio acquista galline ovaiole. Se Tizio si nutrisse del suo grano e Caio delle sue uova, diremmo che il Pil dello Stato è zero. Se la domenica Tizio acquista due uova da Caio (pagandole 1 €) e Caio acquista 200 gr di grano da Tizio (pagandolo 1 €), c’è stata una “crescita” dell’economia. Se gli scambi di uova e grano raddoppiano, misureremo una “crescita” del 100%. E’ stata prodotta più ricchezza? A me pare di no; di certo la dieta è variata, e questo può avere effetti positivi, ma non direttamente sulla ricchezza dello Stato.
In questo modello possono accadere fatti che porteranno allo squilibrio delle ricchezze: può accadere che Tizio sia attratto dalle uova di Caio molto più di quanto Caio non sia attratto dal grano di Tizio. Dopo poco Tizio avrà trasferito tutte le sue ricchezze a Caio. O può accadere che le galline di Caio non producano più uova, e dunque trasferirà tutto a Tizio per nutrirsi. E poi? Per questo motivo, è molto probabile che ben presto Tizio e Caio decideranno di tassare le loro transazioni per finanziare lo Stato che dovrebbe comunque garantire servizi ad entrambi, ed intervenire in caso di necessità. E più scambi ci sono, più aumenta la raccolta di tasse.
Quindi la “crescita”, mentre non produce necessariamente maggiore ricchezza, va certamente ad aumentare la raccolta di tasse. Il paradosso è che per alcuni le tasse dovrebbero diminuire in modo da favorire gli scambi, come se il problema fosse quello di scambiarci sempre più merci e servizi: ma se Tizio acquistasse tutte le uova di Caio, e Caio tutto il grano di Tizio, cosa avremmo risolto? Lo Stato sarebbe più ricco? Vivrebbero meglio?
Allora, il problema non mi sembra quello di stimolare la crescita purché sia, ma di fare in modo che la macchina funzioni meglio per tutti, che significa assistere tutti gli anziani, gli ammalati, i disabili, le famiglie, tutti allo stesso modo, e proteggere l’ambiente di tutti. Questa sarebbe vera crescita.