Sono passati 13 anni dal disastro dell’11 marzo 2011 in Giappone, quando un terremoto di magnitudo 9 al largo della costa nordorientale, il più forte mai registrato, fu seguito prima da un enorme tsunami e poi dalla fusione di tre reattori nucleari presso la centrale di Fukushima Daiichi, travolta dalla potenza dell’onda. Persero la vita quasi 20mila persone, mentre più di 160mila residenti furono costretti a fuggire dalla più grave catastrofe nucleare dall’incidente di Chernobyl del 1986. Per la prima volta dal 2011 l’operatore della centrale, la Tokyo Electric Power (Tepco), è riuscito a recuperare una piccola quantità dei detriti del combustibile fuso all’interno di uno dei tre reattori in cui si verificò la fusione del nocciolo durante l’incidente di 13 anni fa.

La Tepco ha iniziato in settembre le operazioni di rimozione del combustibile nucleare che attualmente risulta mescolato ad altri scarti della struttura del reattore. Si sta utilizzando un dispositivo di recupero – un robot telecomandato – simile a un lungo tubo metallico a forma di canna da pesca per raccogliere i detriti che si sono accumulati sul fondo del contenitore dell’unità numero 2, e nel corso dei lavori il congegno ha afferrato con successo un piccolo pezzo di circa 5 millimetri, presumibilmente del peso di alcuni grammi.

Il livello delle radiazioni del campione raccolto sarà misurato all’inizio della prossima settimana, all’interno di una scatola di stoccaggio. Si stima che ci siano 880 tonnellate di detriti nei vasi di contenimento dei tre reattori, e la loro rimozione è considerata la fase più impegnativa dello smantellamento dell’impianto a causa degli altissimi livelli di radiazioni. La Tepco intende utilizzare i dati ottenuti dall’analisi del campione raccolto per elaborare il metodo più appropriato per il completo recupero dei detriti in futuro. Secondo le stime governative i lavori di smantellamento dell’impianto dovrebbero proseguire fino a una data compresa tra il 2041 e il 2051.

Intanto in un’area del Giappone nord-orientale ai vedrà il riavvio di un reattore nucleare. Si tratta dell’unità numero 2 della centrale di Onagawa, nella prefettura di Miyagi, con funzionamento ad acqua bollente, lo stesso tipo degli impianti che subirono la fusione del nocciolo durante la crisi nucleare. Il reattore di Onagawa, gestito dalla Tohoku Electric Power, ha superato i test di sicurezza nel febbraio 2020, ottenendo il via libera delle autorità locali per riprendere le operazioni dopo oltre un decennio, grazie al completamento dei lavori per ottimizzare la sicurezza dell’impianto, tra cui la costruzione di un muro di cinta alto 29 metri e il miglioramento della resistenza sismica dell’edificio del reattore. Durante il disastro del marzo 2011, tutti e tre i reattori della centrale di Onagawa, ma meglio posizionati rispetto a quelli di Fukushima Daichii, si spensero automaticamente.

Il gestore prevede di iniziare la produzione e la trasmissione di energia all’inizio di novembre, con il funzionamento commerciale attesa verso dicembre. Nonostante la volontà del governo di Tokyo di accelerare la ripresa delle centrali nucleari nel Paese privo di risorse energetiche, rimangono tuttavia le preoccupazioni sulla sicurezza tra diversi strati della popolazione. Più di una dozzina di residenti di Ishinomaki avevano intentato una causa nel 2021 per mantenere offline l’impianto di Onagawa, citando difetti del piano di evacuazione e di emergenza, ma la Corte distrettuale di Sendai ha respinto la richiesta nel maggio 2023. Oltre all’unità di Onagawa, almeno dodici reattori in sei centrali atomiche del Giappone centrale e sud-occidentale hanno ripreso a funzionare dopo aver passato gli standard di sicurezza previsti.

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