Il fatto è presto detto: per molti anni in provincia di Siena una vasta area di terreno agricolo veniva data in locazione a prezzi irrisori (1000 euro l’anno) ad una associazione che vi installava un poligono di tiro molto frequentato da civili e militari. Prima della scadenza, tuttavia questa attività veniva a cessare e quindi il terreno doveva essere restituito al proprietario, come da contratto, bonificato e comunque “in condizioni tali da essere immediatamente ridestinato all’attività agricola”.
A questo punto era necessaria una bonifica in quanto il terreno risultava pesantemente inquinato da migliaia di bossoli ed ogive e si incaricava una ditta che, in due riprese, raccoglieva e portava via circa 1200 chili di piombo. Ciò nonostante i sopralluoghi successivi, privati e pubblici, evidenziavano che ancora sussisteva un gravissimo inquinamento da piombo con superamento di tutti i limiti consentiti; e così la Regione ed il Comune ordinavano al responsabile del poligono di predisporre ed attuare un vero e definitivo piano di bonifica in virtù di “un rischio non accettabile pari a 2,1 connesso in massima parte all’esposizione per ingestione (rischio 2,05) e solo minimamente al contatto dermico ed all’inalazione polveri” (si tratta di terreno agricolo per la coltivazione del riso). Bonifica che, tuttavia, veniva attuata solo parzialmente.
Allora, come prescrive la legge, il Comune intimava di provvedere al proprietario dell’area anche se non era lui il responsabile ma neanche questi provvedeva. E così, sempre come prescrive la legge, il Comune predisponeva un progetto di bonifica del costo di 560.000 euro da finanziare con fondi comunitari (PNRR).
Intanto la giustizia penale andava avanti e, al termine di un lunghissimo e travagliato processo, il responsabile dell’associazione veniva condannato (aprile 2024) dal Tribunale di Siena a 2 anni e 5 mesi di reclusione e a 58.000 euro di multa, per la omessa bonifica con l’obbligo di risarcire tutte le spese e di ripristinare lo stato dei luoghi.
Nella motivazione della sentenza, appena pubblicata, si legge che l’imputato era stato “insignito addirittura dell’onorificenza di “Cavaliere” dal Presidente della Repubblica” ed aveva “ricoperto il ruolo di consulente e di perito in numerosissimi processi penali italiani nonché per Commissioni Parlamentari di Inchiesta” e che tutte le risultanze avevano smentito la sua tesi difensiva (definita “insostenibile, tanto da ricordare l’imperatore della fiaba di Andersen che voleva far credere ai propri sudditi di non essere nudo quando camminava per strada nudo”) secondo cui la colpa era soprattutto dei cacciatori.
Anzi, la sentenza evidenzia che “gravissimo è il danno all’ambiente, gravissimi sarebbero stati i potenziali danni alla salute umana se, in quei terreni, si fosse tornato a coltivare il riso”. Infatti, una volta nel terreno, il proiettile o i pallini, a contatto con l’aria, l’acqua e le diversi componenti del suolo, tendono ad alterarsi lentamente, a cominciare dalla parte più superficiale; il piombo metallico si ossida, dando luogo alla formazione di ossidi, idrossidi, carbonati o solfati e successivamente questi composti si disciolgono, con grave inquinamento del terreno. Tanto più che “un pallino impiega dai 30 ai 300 anni per dissolversi”.
Eppure il piombo è ancora là. E bene fa la sentenza a ricordare con forza che, se l’inquinatore non provvede, “anche le figure apicali deputate alla materia ambientale di Comune e Regione possono rispondere del reato di omessa bonifica”.
[foto d’archivio]