di Somayeh Haghnegahdar*

Iran, un paese in cui vige la legge sull’Hijab obbligatoria da 45 anni. Sono trascorsi più di due anni dall’omicidio di Mahsa Amini da parte della polizia morale e dall’inizio del movimento Donna Vita Libertà. Molti pensano che la lotta delle donne siano terminate, ma non sanno che vivere in Iran significa una lotta quotidiana.

Sabato 2 novembre, all’Università della Scienza e della Ricerca di Teheran, la polizia morale dell’ateneo ha insultato e aggredito una studentessa per via del suo abbigliamento ritenuto non idoneo visto che non indossava l’hijab (in tutte le università in Iran c’è la polizia morale che controlla l’etica islamica legata all’abbigliamento e al comportamento). La studentessa dell’ultimo anno di lingua francese, Ahou Daryaie, in protesta, si è tolta tutti i vestiti rimanendo in intimo nel cortile dell’ateneo.

Immaginate la scena: in un paese in cui la donna in pubblico deve apparire solo mostrando il tondo del viso, cosa indica questo gesto? Non immaginate, vedetela: la scena immortalata in un video divenuto virale mostra tutto il coraggio della giovane di fronte a un regime il cui apartheid di genere è una delle sue caratteristiche principali. Un regime per il quale il corpo femminile è sempre stato uno strumento per sopprimere l’identità e l’essenza femminile.

Dopo questa azione di protesta, la ragazza è stata arrestata dalle forze di sicurezza e portata in un luogo sconosciuto. Una fonte interna all’Iran ha riferito che la ragazza è stata arrestata dalla Revolutionary Guards Intelligence Organization e trasferita in un “ospedale psichiatrico” con l’accusa di “disturbo mentale” come “malata mentale”, un titolo familiare e abbastanza frequente in Iran per reprimere le donne progressiste, coraggiose e amanti della libertà. Non è la prima volta che le autorità e i media affiliati al regime islamico accusano le donne che si oppongono e protestano di “disturbo mentale” e le trasferiscono con la forza in centri psichiatrici.

Ho visto decine volte il tuo video virale e vorrei rivolgermi a te, Ahou jan, mia sorella! Nel nome di Donna Vita Libertà che il tuo corpo sia la terra della libertà, che nessun uomo, nessun governo, nessuna religione e nessun militare ha il diritto di dominare. La mia coraggiosa eroina! Il tuo grido ha scosso le mura dure e marce della mascolinità.

Le donne iraniane non si arrendono e continuano la disobbedienza civile; anche se centinaia delle leggi scritte e non scritte e dei confini sono progettati per mettere a tacere la loro voce, per negare i loro diritti fondamentali. Tu hai dimostrato che le donne non dovrebbero essere viste come creature dominanti, ma come future leader e innovatrici.

Hai inviato un messaggio chiaro: il corpo femminile non è né un oggetto né uno strumento di controllo, ma libero, che la lotta femminile inizia dai propri corpi, “i nostri corpi sono campi di battaglia”. Hai acceso una scintilla nel cuore di tutte le donne che non si sono piegate alle repressioni storiche, quelle che stanno plasmando il proprio futuro con le proprie mani.

* film-maker iraniana che vive da esiliata in Italia
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