Il primo novembre è uscito ufficialmente il nuovo disco dei Cure, peraltro eseguito la stessa sera dal vivo al Troxy di Londra. Nei consueti nove punti di questo blog, parliamo ancora una volta della band di Robert Smith. Cominciamo!

1. Il concerto dei The Cure al Troxy in streaming
Un evento che non è rimasto tra le mura dell’iconico club. Grazie allo streaming su YouTube, la scelta di una location intima ha incontrato un pubblico vastissimo, creando una sorta di “rituale collettivo” a distanza. Ovunque nel mondo, fan vecchi e nuovi si sono trovati immersi nel debutto live del nuovo Songs of a Lost World. Non era solo un concerto, ma un’esperienza condivisa.

2. Una location intima per un ritorno memorabile
L’individuazione di un club dalla capacità ridotta si è rivelata una mossa destinata a evocare i concerti degli esordi, quando la vicinanza al pubblico era tutto. Invece di un’arena, è stato scelto uno spazio raccolto, amplificando l’intimità e trasformando ogni nota in un’esperienza che i presenti difficilmente dimenticheranno. Dopo anni di esibizioni negli stadi, il desiderio di riscoprire una dimensione più intensa e diretta sembra essere divenuto una necessità.

3. Una scaletta monumentale: 33 brani per tre ore di immersione
Con 33 pezzi e un set che ha superato le tre ore, la band ha mostrato un’intensità che poche band osano ancora offrire. Dalla profondità di “Alone” e “Endsong” ai classici intramontabili come “Disintegration”, “A Forest” e “Lullaby”, ogni brano ha delineato un viaggio studiato nei dettagli. È probabile che simili scelte disegneranno il prossimo tour, intrecciando passato e presente con le nuove tracce di Songs of a Lost World. Non è stato un semplice concerto, ma una narrazione in grado di giocare con il tempo, abbracciando ogni era della formazione in una sola notte.

4. Rievocazione di un culto
Non si tratta di nostalgia o di culto dei classici, né di musica destinata ai “Boomer” (termine che non posso soffrire), ma di un’urgenza artistica che sfida il tempo e le etichette. Robert Smith e compagni dimostrano che il rock, in tutte le sue sfaccettature, è ancora capace di rievocare ombre e luci del passato, riuscendo ad attualizzarle e a renderle estremamente credibili agli occhi del nostro presente. Se qualcuno pensa il contrario, se ne faccia una ragione.

5. Nove cose che non posso soffrire
a) Il termine “Boomer”: riduttivo e generalizzante, un’etichetta insopportabile.
b) Artisti senza identità, un giorno rockstar maledette e il giorno dopo angeli biondi. Nel nome della targhettizzazione
c) Esibizioni brevi: un concerto deve onorare il pubblico.
d) Cellulari onnipresenti: schermi alzati che tolgono autenticità.
e) Artisti che si autocensurano: smussare l’arte la rende più debole.
f) Brani progettati per le classifiche, inseguendo il mood del momento.
g) Icone musicali rinnegate: nel nome del Dio Denaro e dei format televisivi
h) Endorsement politici: un danno per artisti e candidati, più in generale per la musica.
i) Costi esagerati dei biglietti: prezzi che allontanano il pubblico. ​​

6. Songs of a Lost World: un album che stupisce per integrità
Ebbene sì, è un disco che stupisce per coerenza e solidità. Pur non raggiungendo la bellezza intramontabile dei grandi capolavori della band, riesce comunque a richiamarne l’integrità stilistica. Robert Smith e compagni mostrano di essere ancora fedeli alla loro essenza musicale, recuperando l’ispirazione e provando ad evolversi senza compromessi. Se dovessi dargli un voto, sarebbe un bel sette. Canzone preferita: “Endsong”.

7. L’eredità di Seventeen Seconds
Durante lo show, hanno omaggiato i 45 anni di Seventeen Seconds. Un album che ha segnato indelebilmente il loro stile e lo ha consegnato ai posteri, tracciando “la matrice del suono”, ingolosendo frotte di musicisti venuti dopo. Come orsi con il miele, innumerevoli hanno cercato di saziarsi, rubando a quella tavola… Tuttavia, quella matrice resta ad uso e consumo esclusivo dei Cure. Le imitazioni che ne sono derivate si sono rivelate solo pallide e imbarazzanti copie, incapaci – come è ovvio – di eguagliare la potenza originaria.

8. Robert Smith unico sacerdote possibile
Lui non è solo il frontman dei Cure, ma un artista la cui autenticità si riflette nella musica e nel suo modo di essere. Quando parla, esprime una visione chiara e semplice, votata alla trasparenza. Smith incarna una vulnerabilità che risuona negli occhi di chi lo ama. Abbiamo già detto che le loro esibizioni si trasformano regolarmente in rituali? La connessione con il pubblico è talmente intensa che trascende tempo e spazio. Tre ore di live paiono essere tre minuti.

9. Il prossimo tour
La scaletta del concerto al Troxy – come detto – si è rivelata estremamente eterogenea. Tuttavia, in previsione del prossimo rito (il tour), sarebbe auspicabile “sacrificare” alcune delle solite hit in favore di molte delle gemme sottese colpevolmente da troppo tempo. Considerando il mood della nuova fatica discografica, sarebbe logico ricollegarsi a certe tracce significative. Per quanto rilevanti, brani come “Why Can’t I Be You”, “The Walk” e “let’s go to bed” non si possono onestamente più “soffrire”.

Come di consueto a margine degli articoli di questo blog è connessa una imprescindibile playlist dedicata. la potrete ascoltare gratuitamente sul mio canale Spotify.
Buon ascolto!

9 canzoni 9 … dei Cure che non si possono più soffrire

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