Ala vigilia dell’annunciata risposta militare a Israele, le autorità di Teheran hanno eseguito la condanna a morte di un membro della comunità ebraica iraniana che era stato incriminato per omicidio. Lo rende noto l’Iran Human Rights, ong con sede in Norvegia. Arvin Ghahremani è stato impiccato in prigione nella città occidentale di Kermanshah dopo essere stato condannato per omicidio durante una rissa di strada, ha affermato il gruppo, in un periodo di crescenti tensioni con Israele. Ghaharemani è stato messo a morte dopo una battaglia durata due anni da parte della sua famiglia e della comunità ebraica locale per salvargli la vita. La tv Iran International riferisce che la magistratura iraniana ha confermato la notizia.
Ghahremani fu arrestato il 21 novembre 2022 con l’accusa di omicidio durante una rissa a Kermanshah e cinque mesi dopo, il 29 aprile 2023, venne condannato a morte con l’accusa di “omicidio intenzionale” di un altro giovane, Amir Shukri, e annunciò che l’esecuzione di questa sentenza sarebbe dipesa dal permesso di Ali Khamenei, il leader della Repubblica islamica. La sua difesa, riferisce il Times of Israel, ha affermato che Shokri ha ferito Ghahremani con un coltello, ma quest’ultimo è riuscito a strappargli l’arma e a pugnalarlo a sua volta, ferendolo a morte. Secondo alcune fonti iraniane, la rissa tra i due era scoppiata perché Ghahremani si era rifiutato di pagare gli interessi su un prestito che gli era stato concesso, sostenendo che è una pratica vietata dalla religione islamica. L’esecuzione è avvenuta “nel mezzo delle minacce di guerra con Israele“, ha affermato il direttore dell’IHR Mahmood Amiry-Moghaddam, aggiungendo che il caso legale presentava “gravi difetti“.
La famiglia di Ghahremani aveva chiesto a quella di Shokri ad accettare il cosiddetto “prezzo del sangue”, un risarcimento previsto dalla legge islamica, secondo cui una volta che una persona è ritenuta colpevole di omicidio intenzionale, l’unico modo in cui può evitare la condanna a morte è che la famiglia del defunto dichiari di perdonare l’autore. La famiglia della vittima si è “rifiutata di dare il consenso” all’accordo. Secondo il sito israeliano Ynet, la famiglia di Shokri era stata sottoposta a pressioni da parte di un collaboratore di Khamenei e della divisione di intelligence del Corpo delle Guardie della Rivoluzione per non accettarlo. La condanna a morte avrebbe dovuto essere eseguita a maggio, ma all’ultimo minuto gli è stata concessa una sospensione della pena. Sebbene gli ebrei iraniani siano stati giustiziati subito dopo la rivoluzione del 1979, secondo Iran International l’esecuzione di un ebreo iraniano non ha precedenti negli ultimi anni.
Ad alzare ulteriormente la posta in gioco tra l’Iran e l’Occidente, mentre Teheran minaccia di vendicarsi per l’attacco israeliano del 26 ottobre, contribuisce un altro fatto. Nelle carceri iraniane si troverebbe anche un giornalista iraniano-americano. L’incarcerazione di Reza Valizadeh è stata confermata all’Associated Press dal Dipartimento di Stato americano mentre domenica l’Iran celebrava il 45° anniversario della presa dell’ambasciata americana e della crisi degli ostaggi. Poche ore prima il leader supremo iraniano, l’Ayatollah Ali Khamenei, aveva minacciato di dare “una risposta schiacciante” a Israele e agli Stati Uniti mentre i bombardieri B-52 a lungo raggio raggiungevano il Medio Oriente nel tentativo di scoraggiare una replica di Teheran.
Valizadeh aveva lavorato per Radio Farda, un’emittente di Radio Free Europe/Radio Liberty supervisionata dall’Agenzia statunitense per i media globali. A febbraio aveva scritto sulla piattaforma social X che i suoi familiari erano stati arrestati nel tentativo di farlo tornare in Iran. Ad agosto, Valizadeh avrebbe pubblicato due messaggi in cui affermava di essere tornato in Iran nonostante Radio Farda fosse vista dalla teocrazia iraniana come uno strumento ostile. “Sono arrivato a Teheran il 6 marzo 2024. Prima di ciò, avevo negoziati incompiuti con il dipartimento di intelligence (della Guardia Rivoluzionaria),” si legge in parte nel messaggio. “Alla fine sono tornato nel mio Paese dopo 13 anni senza alcuna garanzia di sicurezza, nemmeno verbale”.
Valizadeh ha aggiunto il nome di un uomo che secondo lui apparteneva al ministero dell’Intelligence iraniano. L’AP non ha potuto verificare se la persona lavorasse per il ministero. Da settimane circolano voci secondo cui Valizadeh sarebbe stato arrestato, come già avvenuto nel 2007. L’agenzia di stampa degli attivisti per i diritti umani, che monitora i casi in Iran, ha affermato che era stato fermato all’arrivo nel paese all’inizio di quest’anno ma successivamente rilasciato. È stato poi nuovamente arrestato e rinchiuso nella prigione di Evin, dove ora deve affrontare le accuse della Corte rivoluzionaria iraniana, ha riferito l’agenzia.
Il Dipartimento di Stato ha riferito all’AP di essere “a conoscenza di notizie secondo cui questo cittadino con doppia cittadinanza statunitense-iraniana è stato arrestato in Iran”h. “Stiamo lavorando con i nostri partner svizzeri che fungono da potenza protettrice degli Stati Uniti in Iran per raccogliere maggiori informazioni su questo caso”, ha affermato il Dipartimento di Stato. “L’Iran imprigiona regolarmente ingiustamente cittadini statunitensi e di altri paesi per scopi politici. Questa pratica è crudele e contraria al diritto internazionale”.
Dalla crisi dell’ambasciata americana del 1979, in cui dozzine di ostaggi furono rilasciati dopo 444 giorni di prigionia, l’Iran ha utilizzato prigionieri con legami occidentali come merce di scambio nei negoziati con le altre potenze. Nel settembre 2023, Teherna ha rilasciato cinque americani detenuti da anni in cambio di cinque iraniani sotto custodia statunitense e del rilascio da parte della Corea del Sud di 6 miliardi di dollari in beni iraniani congelati. Valizadeh è il primo americano noto ad essere stato detenuto dall’Iran da allora.