Gli Usa rischiano di restare ancora una volta fuori dall’Accordo di Parigi, ma anche dai negoziati mondiali sul clima, di continuare a estendere le concessioni per le trivellazioni nell’Artico senza alcun freno e di restare ancorati a una mobilità legata tuttora alle fonti fossili. Se Donald Trump vincesse le elezioni, imprimerebbe un cambiamento a tutta la politica energetica e ambientale degli Usa, come il tycoon ha già fatto in passato cancellando tutte le battaglie (non solo ambientali) condotte dal suo predecessore alla Casa Bianca, Barack Obama. Di questo c’è certezza non solo perché è già accaduto, ma anche perché l’ex presidente degli Stati Uniti non nasconde certo le sue intenzioni. Tant’è che il sostegno alle auto termiche è diventato un suo cavallo di battaglia: “Nessuno Stato potrà vietare le auto a benzina” ha detto anche recentemente. Non che tutta la politica di Biden sia stata fedele alle attese e alla transizione ecologica, a iniziare dalla mancata presa di posizione contro il fracking, la tecnica con cui viene estratta la stragrande maggioranza del gas naturale di cui gli Usa sono i primi esportatori al mondo. Tecnica su cui non è chiara neanche la posizione della candidata democratica Kamala Harris, che riflette certe ambiguità dell’amministrazione Biden. Certa, invece, è quella di Trump che neppure sogna lontanamente di vietare il fracking.

Trump ci riprova con le stesse convinzioni – Di fatto, tra le ultime celebrità ad appoggiare Harris c’è l’attore Leonardo Di Caprio, messaggero di Pace dell’Onu con un focus speciale sui cambiamenti climatici. Di Caprio, convinto che in fatto di cambiamento climatico la scelta di Trump resterebbe comunque la più rovinosa, ha diffuso un video in cui sostiene che il tycoon “continua a negare” i fatti e le prove scientifiche. E cita i devastanti uragani che hanno colpito Florida, Georgia e North Carolina, tra i più violenti della storia: “Hanno fatto oltre 100 miliardi di danni e non vi illudete: questi disastri ‘non naturali’ sono stati causati dal cambiamento climatico”. Così non la pensava Trump al suo primo mandato, durato dal 2016 al 2020. Nella California dilaniata dai roghi ha continuato a sostenere che “presto comincerà a diventare più fresco” commentando: “Non credo che la scienza lo sappia, in realtà”. A luglio scorso, nei giorni che hanno preceduto la Convention Nazionale Repubblicana che a Milwaukee lo ha designato ufficialmente candidato alla presidenza, la piattaforma del partito non faceva alcuna menzione del cambiamento climatico, incoraggiando anzi a una maggiore produzione di fonti fossili. “We will drill, baby, drill” lo slogan che faceva proprio riferimento al petrolio come ‘liquid gold’. D’altronde anche J.D. Vance, il suo candidato vicepresidente, ha sempre minimizzato gli effetti dei cambiamenti climatici, ha più volte criticato l’Inflation Reduction Act, la legge del 2022 che destina un considerevole sostegno finanziario per l’azione climatica e, al contrario, ha spinto per l’approvazione di leggi che abolissero i programmi di riduzione delle emissioni di metano.

Questa volta non uscirà solo dall’Accordo di Parigi – Se eletto nuovamente alla Casa Bianca, come già confermato anche dalla portavoce della sua campagna elettorale, Karoline Leavitte, intervistata da Politico, Trump farà uscire nuovamente gli Usa dall’Accordo di Parigi sostenuto, invece, dall’ex procuratrice della California Harris. Ma sono diverse le fonti secondo cui il tycoon potrebbe persino firmare per l’uscita degli Stati Uniti dalla Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici (Unfccc), trattato firmato a Rio de Janeiro nel 1992 con l’obiettivo di tracciare un percorso per ridurre le emissioni di gas serra. In questo modo, gli Stati Uniti non parteciperebbero più ai negoziati sul clima di cui le annuali Cop sono il momento più importante. Quest’anno la Cop 29 si terrà a Baku, in Azerbaigian e prenderà il via l’11 novembre, pochi giorni dopo il voto Usa. Il ruolo degli Stati Uniti è cruciale, dato che sono i secondi emettitori di CO2 dopo la Cina (i primi se si guarda allo storico).

La politica energetica secondo Trump – A quel punto, però, in caso di vittoria dei Repubblicani, Trump sarà probabilmente già affaccendato a smantellare quanto fatto dalla presidenza Biden. Non solo rispetto all’Accordo di Parigi, ma anche riprendendo la politica di espansione dell’attività estrattiva di petrolio e gas offshore. Le posizioni della candidata democratica si sono ammorbidite rispetto alle battaglie legate al Green New Deal, quando dava battaglia apertamente al fracking e allo shale gas contenuto nelle rocce scistose che oggi non è più tra le sue priorità. Harris, poi, ha più volte manifestato la sua contrarietà all’estrazione di petrolio e gas in aree interne all’Arctic National Wildlife Refuge, ma l’amministrazione Biden ha approvato nel 2023 una serie di progetti, tra cui il progetto Willow della ConocoPhillips, in un’area che per decenni ha fatto parte della National Petroleum Reserve. Un progetto approvato da Trump nel 2020, bloccato da un giudice federale dell’Alaska e di cui la compagnia ha proposto una versione ‘ridotta’. Il via libera è stato comunque contestato, così come la politica della Casa Bianca. Resta, comunque, una distanza tra la sua direzione e quella di Trump. Secondo diverse inchieste, la scorsa primavera il Tycoon avrebbe chiesto al settore delle fossili di raccogliere un miliardo di dollari per la sua campagna promettendo in cambio interventi a favore del settore. Ne sono arrivati molti meno, ma la posizione del tycoon è sempre quella: per abbattere l’inflazione la strada è quella di non abbandonare, ma semplificare la strada, alla produzione di combustibili fossili. Eliminando, per esempio, le restrizioni introdotte da Biden sulle emissioni delle centrali elettriche. Per farlo c’è chi sostiene che una delle prime mosse di Trump potrebbe essere l’allontanamento di personaggi ritenuti scomodi dalle postazioni strategiche. Il riferimento è a Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia, ritenuto troppo favorevole alla transizione energetica che spinga anche sui tempi di realizzazione. Di fatto, Trump mette in dubbio quanto fatto con l’Inflation Reduction Act, la legge che ha investito più di ogni altro provvedimento sull’energia pulita, circa 370 miliardi di dollari. Il Tycoon vuole bloccare quelli non ancora spesi e possibilmente dirottarli altrove.

Il sostegno alle auto a benzina – Uno spostamento di risorse che riguarda anche le auto elettriche. Con l’Infrastructure Investment and Jobs Act (IIJA) del 2021 sono stati stanziati 1.200 miliardi di dollari per infrastrutture e incentivi alle auto elettriche. Obiettivo: rendere elettrico almeno il 50% dei veicoli in circolazione. Il Tycoon, invece, ha sempre sostenuto di voler andare in direzione opposta, approfittando di alcuni margini di azione lasciati aperti dall’amministrazione Biden che, per esempio, non ha fissato una data per lo stop alla vendita delle auto a benzina. Le iniziative legislative attuate sono più che altro locali, come quella della California che, nel 2022, ha approvato un piano per fermare la vendita delle auto inquinanti a partire dal 2035. Già entro il 2026, però, il 35% delle nuove auto vendute dovrà essere plug-in o zero emissioni, quota che sale al 68% entro il 2030 e al 100% entro il 2035. Ma se in California questo settore è già avanti, lo stesso non si può dire nel resto degli Stati Uniti che ora rischiano di restare al palo per molto più tempo. Poi, però, è subentrato il fattore Elon Musk, amministratore delegato di Tesla e le carte in tavola sembrano essere cambiate. Eloquenti le parole del Tycoon: “Sono favorevole alle auto elettriche. Devo esserlo perché Elon mi ha dato un grande supporto. Quindi non ho scelta”.

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