Nemmeno il tempo di rimettere in mare la nave Libra della Marina militare, che oggi a Sud di Lampedusa ha effettuato un primo, nuovo trasbordo per selezionare gli “eleggibili” per i centri in Albania, che i Tribunali mettono in discussione il nuovo decreto del governo sui Paesi sicuri. “Sono fiducioso che il decreto approvato nei giorni scorsi possa superare la mancata convalida dei trattenimenti da parte dell’autorità giudiziaria: se non lo fossi stato non le avremmo fatto”, ha dichiarato oggi il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (video). Che parla come se il Tribunale di Roma non avesse appena deciso di rinviare il provvedimento alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (Cgue), come già quello di Bologna nei giorni scorsi. Peggio, come se il Tribunale di Catania non l’avesse bocciato del tutto. Il Presidente della sezione immigrazione, Massimo Escher, ha infatti disapplicato il decreto e invalidato il trattenimento nel centro siciliano di Pozzallo di un egiziano sottoposto all’esame accelerato della domanda d’asilo in quanto proveniente da Paese “sicuro”. Insomma, il conflitto con la normativa europea evidenziato dalla nota sentenza della Cgue del 4 ottobre, poi applicata dai giudici di Roma nel caso dei 12 richiedenti trattenuti in Albania, non è affatto risolto. Nemmeno aver inserito la nuova lista dei Paesi sicuri in una norma primaria, il decreto legge del 23 ottobre scorso, basta a evitare che un giudice ne valuti la legittimità in base alle prevalente normativa Ue e per questo decida di disapplicarlo.
A differenza di quanto accaduto a Bologna, il Presidente Escher ritiene di non dover chiedere un parere alla Cgue. Come “in tutti i casi in cui la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi”, scrive citando la giurisprudenza della stessa Corte Ue. Al centro della decisione è la designazione dell’Egitto come Paese d’origine sicuro, che nel decreto del 23 ottobre non presenta eccezioni per gruppi di persone a rischio, com’era invece nel precedente elenco “per gli oppositori politici, i dissidenti, gli attivisti e i difensori dei diritti umani o per coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione di cui all’articolo 8, comma 1, lettera e) del Decreto Legislativo 19 novembre 2007, n. 251″. Alla luce della sentenza della Cgue del 4 ottobre, secondo i giudici di Roma che hanno esaminato i trattenimenti in Albania si trattava di eccezioni non ammesse dalla vigente normativa europea: il Paese è sicuro per tutti o non lo è per nessuno. Proprio per aggirare l’ostacolo, il governo ha deciso di riscrivere la lista e di cancellare ogni eccezione. E tuttavia il Tribunale di Catania dice oggi che non basta.
Nella stessa sentenza della Cgue, ricorda Escher, è ribadito l’obbligo per il giudice di verificare la legittimità della designazione del Paese come sicuro. E questo perché chi viene da Paesi considerati tali vedrà la sua domanda sottoposta a esame accelerato e possibilmente respinta per manifesta infondatezza, con termini ridotti per impugnare la decisione e, non ultimo, il rischio di vedersi espellere prima dell’esito del ricorso visto che la sospensiva non è automatica. Per questo il giudice è tenuto a verificare se quel Paese possa davvero considerarsi sicuro. Eccezioni o no, un Paese può essere considerato tale solo se “sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” (Allegato 1 della direttiva Ue 32/2013). Obbligato a valutare l’inserimento dell’Egitto nella lista governativa dei Paesi sicuri, il magistrato spiega che, nel caso in esame, la verifica “non può che essere negativa e ciò tenuto conto delle COI (Country of Origin Information) relative all’Egitto lette in relazione al principio enunciato dalla Corte di Giustizia con la citata sentenza”.
Nel caso dell’Egitto, il giudice cita la pena di morte con un numero di esecuzioni tra i più alti, le detenzioni arbitrarie e gli arresti senza mandato, violazioni processuali nei confronti di avvocati per i diritti umani, attivisti, giornalisti e politici di opposizione, abusi e detenzioni per blasfemia, l’assenza di tutela contro la violenza familiare e le discriminazioni nei confronti di donne e minori, le persecuzioni nei confronti delle persone LGBTQI+, oltre a torture e abusi da parte dei corpi di polizia nei confronti degli oppositori del governo. Questioni in parte citate dalle schede che motivavano le eccezioni della precedente lista di Paesi sicuri e sparite in quella inserita nel decreto legge di ottobre. “I citati rischi di insicurezza che riguardino, in maniera stabile ed ordinaria, intere ed indeterminate categorie di persone portano de plano il decidente a negare che l’Egitto possa ritersi paese sicuro alla luce del diritto dell’Unione Europea e ciò per quanto si legge nelle argomentazioni della citata sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4 ottobre 2024, laddove in motivazione richiede che il Paese (per dirsi sicuro) sia caratterizzato da una situazione “generale e costante ” di sicurezza”, si legge nel decreto di Catania. “Tanto rilevato, non resta che disapplicare ai fini della presente decisione il decreto-legge 23.10.2024, posto che, come è noto, le sentenze interpretative della Corte di giustizia dell’Unione europea vincolano il giudice nazionale”.
La decisione di Escher, che si accompagna ad altre quattro mancate convalide a Pozzallo, anticipa quello che potrebbe presto accadere a Roma, sede competente per i trattenimenti nei centri albanesi dove verranno trasferiti i migranti che, già in queste ore, le motovedette italiane trasbordano sulla Libra per il pre-screening, dopo giorni in cui il maltempo aveva impedito le traversate dei barchini nel Mediterraneo. Proprio dal Tribunale di Roma è partito oggi un altro rinvio alla Cgue, dopo quello di Bologna, nel merito del ricorso contro il diniego all’asilo di uno dei 12 richiedenti trasferiti in Albania e poi portati in Italia. I due rinvii potrebbero essere citati dai magistrati romani già nell’esame delle convalide per i nuovi richiedenti trasferiti in Albania fin dai prossimi giorni. In alternativa i giudici potrebbero decidere a loro volta di rinviare alla Cgue o magari alla Corte Costituzionale in base agli articoli 11 e 117 della Carta. Ma potrebbero anche decidere di disapplicare il nuovo decreto come fatto oggi a Catania. O perché no, di convalidare i trattenimenti. Ma a questo punto è decisamente l’ipotesi più remota.