“Per colpa di alcuni giudici comunisti che non applicano le leggi, il Paese insicuro ormai è l’Italia. Ma noi non ci arrendiamo!”. Così il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini commenta la pronuncia del Tribunale di Catania che ha disapplicato il decreto del governo sui Paesi sicuri per contrasto con la normativa europea. Nei giorni scorsi il leader della Lega si era già scagliato contro i giudici di Bologna, che invece – come fanno oggi anche quelli di Roma – avevano rinviato il decreto alla Corte di giustizia dell’Ue: “Ennesima sentenza anti-italiana da parte di un giudice comunista”, aveva detto. “Signor giudice, se sotto la tua toga hai la bandiera rossa, togli la toga, cambia mestiere, candidati con Rifondazione comunista però non puoi non applicare le leggi che governo e Parlamento fanno”.
Attacchi alla decisione di Catania anche da Fratelli d’Italia: “Le toghe rosse tornano a colpire. È l’ennesima sentenza che dimostra come alcuni giudici ideologizzati vogliano arrogarsi il diritto di stabilire quale sia un Paese sicuro pur non avendo le informazioni necessarie per farlo, che invece possiede un governo attraverso una serie di scambi con intelligence e organizzazioni internazionali. Di qui il decreto approvato il mese scorso, che queste toghe rosse vorrebbero aggirare contravvenendo così alla richiesta degli elettori italiani di avere più sicurezza nelle proprie città”, dichiara Salvo Sallemi, vicecapogruppo al Senato del partito di Giorgia Meloni. Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia a palazzo Madama, si spinge ancora più in là: “Arriva puntuale un’altra decisione sorprendente da un giudice di Catania. Nessun Paese è sicuro, nemmeno forse la città di Catania, che ha magistrati di questo genere. Assisto esterrefatto al continuo uso politico della giustizia con modalità tali che usurpano le competenze del potere legislativo e del potere esecutivo. La magistratura in questo Paese è diventato un problema davvero serio“.
La nuova offensiva politico-mediatica arriva mentre l’Associazione nazionale magistrati, l’organismo di rappresentanza di giudici e pm, è riunita in assemblea a Bologna per manifestare solidarietà a Marco Gattuso, presidente del collegio che ha rinviato il decreto alla Corte di giustizia, finito oggetto di attenzioni sulla sua vita privata da parte della stampa di destra. “Chiediamo di poter esercitare il nostro ruolo delicatissimo senza subire condizionamenti di sorta“, ha detto il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia. “Vogliamo continuare ad essere giudici indipendenti e autonomi. Non abbiamo paura e non ci lasciamo intimidire”, ha aggiunto. “È un momento delicatissimo: questo scavare negli archivi per delineare la figura del magistrato “cattivo”, nemico del popolo, o di sinistra, è un modo di fare che sposta totalmente l’attenzione dal provvedimento, dalle sue ragioni fondanti. Tutto può essere criticato all’interno del processo, ma spostare dal provvedimento alla persona è un modo di impostare la questione che ovviamente mette in difficoltà i magistrati”.
“C’è un clima di tensione, di scontro che non è sostenibile e va stemperato. Una volta”, sottolinea Santalucia, “erano i pubblici ministeri, le “toghe rosse” delle Procure a essere attaccate, e i giudici erano tenuti da parte. Ora sono proprio i giudici ad essere accusati di parzialità, di pregiudizialità e addirittura i giudici civili. Questa insofferenza nei confronti del potere giudiziario sembra allargarsi a macchia d’olio. Non solo alle Procure ma a tutta la giurisdizione e questo è motivo di rinnovata preoccupazione. La funzione giudiziaria deve essere rispettata per quello che è, un potere indipendente dal governo che non può soggiacere alle attese del governo”. Alle parole del rappresentante delle toghe replica una nota della Lega: “Il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, afferma che i magistrati chiedono solo di poter esercitare il loro delicatissimo ruolo. Santalucia e tanti suoi colleghi magistrati vanno rassicurati: l’unico ostacolo all’esercizio del loro delicatissimo lavoro sembra essere la tendenza a partecipare a convegni e talk show quando sarebbe auspicabile vederli sempre di più in tribunale”.