Mesi di promesse, incontri, trattative per poi spostare i numeri di una virgola, cioè di niente. La riforma del pallone è una farsa. E forse è pure illegale, nel senso che potrebbe violare la legge votata dal parlamento, il famoso emendamento Mulè che ha stabilito di dare più potere ai tornei professionistici ed in particolare alla Serie A, e che è stato disatteso visto che lo status quo è rimasto grosso modo invariato. Ma questo probabilmente dovrà stabilirlo un giudice. Il famoso insegnamento del gattopardo che tanto piace ai boiardi dello sport diceva: “cambiare tutto per non cambiare nulla”. In questo caso il presidente della Figc Gabriele Gravina non ha cambiato direttamente nulla. Alla Serie A ha dato un croccantino, come si fa con i cani rabbiosi, quello dell’autonomia organizzativa, che permetterà ai club di essere realmente indipendenti e avere il diritto di veto su tutto ciò che li riguarda. Più un misero 2%, quello degli arbitri, a cui viene anche giustamente tolto un potere politico che aveva creato solo equivoci.

Il nuovo assetto della riforma della Federcalcio prevede dunque 4 consiglieri per la Serie A (che ne aveva 3), mentre la B passa da 1 a 2 e la C al contrario da 2 a 1. Il totale però rimane sostanzialmente invariato, a conferma della rinomata regola che cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia: i professionisti valevano il 34% e ora diventano appena il 36%. Alla faccia del parlamento e dell’emendamento Mulè, secondo cui devono contare in base al contributo economico che apportano al sistema. La Serie A si aspettava di sfiorare il 50%. Invece non viene toccato l’impero dei dilettanti, che rimane al 33%, né calciatori e allenatori che d’altra parte sono tutelati da un’altra legge dello Stato in uno di quei tipici cortocircuiti normativi che abbondano in Italia.

Gravina ha raggiunto il suo obiettivo, che era quello di non toccare di una virgola gli equilibri che garantiscono il suo potere. E che sono granitici, come dimostra anche la votazione odierna: la mozione del presidente è passata con l’83%, e sarà lo stesso meccanismo di voto che alle urne sceglierà il prossimo presidente. Il sistema ha confermato se stesso, mentre l’emendamento Mulè – inutile nascondersi – aveva soprattutto l’obiettivo di provare a rompere il bacino di consenso che Gravina si è costruito. Così le carte sembrano già apparecchiate per le prossime elezioni, da fine gennaio in poi, per l’ennesima riconferma di Gravina o al limite per un suo uomo, che potrebbe essere il vecchio Abete dei Dilettanti o Marani della Serie C, i suoi più fidati alleati. Il diretto interessato dice che scioglierà la riserva dopo aver parlato con le componenti, forse aspetta solo novità sull’inchiesta giudiziaria che lo vede indagato (il Riesame si pronuncerà a giorni sul sequestro, poi ci sarà l’eventuale rinvio a giudizio). Intanto fa la vittima, parlando di dossieraggi e manovre a suo danno.

Certo, anche la Serie A che per mesi ha portato avanti la sua rivendicazione non ci fa una gran figura, se non proprio una figuraccia: solo 8 club hanno votato contro Gravina, gli altri 12 si sono solo astenuti. Qualcuno fino a ieri sera voleva addirittura votargli a favore, poi per il quieto vivere della lega si è limitato all’astensione ma il segnale comunque è chiaro. Ancora una volta la Lega calcio si è spaccata. Infatti la Figc gongola. Il grande sconfitto di oggi è Lotito (e in parte anche De Laurentiis), che ha esasperato e personalizzato questa battaglia, ma dividendo su un argomento che doveva unire alla fine ha contato solo 8 voti.

Nonostante tutte le vicissitudini e i fallimenti dei suoi mandati, il calcio italiano ha rinnovato una fiducia quasi plebiscitaria al suo presidente. Resta solo una questione: in nome dell’autonomia dello sport, il pallone può davvero infischiarsene della legge dello Stato? Gravina si dice convinto di averla rispettata, gioca sull’equivoco tra indicazione e prescrizione dell’emendamento Mulè che in effetti era piuttosto vago. Però è nei numeri che la riforma ha ignorato una norma pensata per cambiare gli equilibri (che invece sono gli stessi di prima, se non per un misero 2%). Difficile che il governo intervenga nuovamente (se ne avesse avuto la forza, l’emendamento avrebbe indicato percentuali chiare da applicare). Praticamente scontato invece il ricorso, anche perché non serve neppure un voto della Lega, basta un club che impugni la delibera (e Lotito non è uno che si arrende). Tra questo contenzioso alle porte e l’inchiesta su Gravina sullo sfondo, è sempre più chiaro che il futuro del pallone italiano si deciderà in tribunale.

X: @lVendemiale

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