Negli ultimi cinque anni la Turchia è diventata la discarica d’Europa dei rifiuti in plastica. Anche grazie al “contributo” dell’Italia, al quarto posto tra i cinque maggiori esportatori europei in questo Paese. Qui, spesso, i rifiuti vengono sottoposti a pratiche di smaltimento tutt’altro che rispettose dell’ambiente e della salute umana. Secondo i dati Eurostat, solo nel 2023, il Regno Unito ha esportato in Turchia 140.907 tonnellate di rifiuti in plastica, la Germania 87.109, il Belgio 74.141, l’Italia 41.580 e i Paesi Bassi 27.564.

E se nel 2023 la Turchia è stato il secondo Paese, dopo l’Austria, dove sono state esportate più tonnellate di rifiuti plastici, è invece al primo posto se si considerano solo quelli italiani. In vista dei nuovi negoziati per il Trattato globale sulla plastica, che si terranno dal 25 novembre al 1 dicembre a Busan, in Corea del Sud, viene pubblicata una nuova ricerca internazionale condotta da Greenpeace, che lancia una campagna per chiedere lo stop immediato di questa pratica. “Negli anni passati, le nostre ricerche sul campo hanno dimostrato che il suolo, l’aria e i corsi d’acqua della Turchia sono stati contaminati dai rifiuti in plastica importati dall’estero” racconta Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.

La crescita esponenziale dei rifiuti che arrivano in Turchia Come già raccontato da Greenpeace nel 2019, l’aumento incontrollato dell’invio di rifiuti in plastica verso la Turchia (ma anche verso Malesia, Thailandia e Vietnam) è iniziato nel 2018, quando la Cina, fino ad allora prima destinazione globale di questa tipologia di rifiuti, ha deciso di bloccarne le importazioni. Da allora, la Turchia ha visto una crescita esponenziale dell’import da parte dei principali Paesi europei, Italia compresa.

Dal 2013 al 2023 si è passati da circa 440 tonnellate esportate dalla Penisola a oltre 41mila tonnellate, ma è stato il periodo iniziato nel 2018 a segnare un passaggio importante. Tanto che, come raccontato da Ilfattoquotidiano.it sono diverse le analisi e gli allarmi lanciati dalla Corte dei Conti Ue e dall’Interpol.

In cinque anni quadruplicati i rifiuti plastici italiani esportati ad Ankara – Come si evince dai dati Eurostat, il flusso di rifiuti in plastica esportati dall’Italia in paesi extra Ue è passato da circa 65mila tonnellate del 2018 a oltre 80mila del 2023, ma il vero salto esponenziale è proprio quello dei rifiuti plastici arrivati in Turchia, passati nello stesso periodo da neppure 10mila tonnellate a 41.580.

Guardando al valore del materiale in euro, nel 2023 la Turchia è al primo posto – a livello globale – come meta per l’esportazione di rifiuti in plastica italiani con un valore esportato che ammonta a oltre 9,8 milioni di euro. Al secondo posto tra i Paesi extra Ue dove Roma esporta questo tipo di rifiuti c’è l’Arabia Saudita, ma con 12.267 tonnellate, seguita da Stati Uniti (9.339 tonnellate di rifiuti plastici), Svizzera (7.190) e Yemen (2.410 tonnellate).

Significa che se nel 2023 l’Italia ha esportato fuori dall’Europa 83.138 tonnellate di rifiuti in plastica, il 39% del suo export globale, ha destinato quasi il 50% di questo export extra Ue proprio alla Turchia. “È inaccettabile che Paesi come il nostro, aggiunge Ungherese, anziché affrontare il problema alla radice e ridurre la produzione di plastica, continuino a spostare il proprio fardello sulle zone più vulnerabili del pianeta.

Da cinque anni, la Turchia è diventata la discarica dell’Europa e non può più sopportare questo peso”. Eppure non ci sono segnali di una controtendenza: da gennaio a settembre 2024 l’export italiano di rifiuti in plastica verso la Turchia ha superato le 36mila tonnellate. Nello stesso periodo del 2023, l’Italia aveva esportato oltre 29mila tonnellate. “Questi dati sembrano confermare la continua crescita dell’export di rifiuti in plastica verso la Turchia, con il 2024 nuovo anno record” spiega il report di Greenpeace.

Cosa non sta funzionando – Eppure, gli Stati membri dovrebbero, secondo la normativa europea, spedire i propri rifiuti plastici fuori dall’Unione esclusivamente per avviarli al riciclo o al recupero energetico e in ogni caso scegliendo sempre impianti con standard ambientali e tecnici pari a quelli comunitari. “È la prassi che sembrerebbe seguire Corepla, il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica che gestisce i rifiuti plastici urbani nel 92% dei Comuni italiani” spiega Greenpeace, sottolineando che “nei report di Corepla la Turchia non figura tra le destinazioni citate esplicitamente per l’export.

“Tuttavia, aggiunge, il flusso in uscita non si ferma e tonnellate di scarti dall’origine non del tutto chiara continuano a raggiungere Paesi perlopiù impreparati ad accoglierli”. È così che i rifiuti italiani finiscono per alimentare discariche abusive sempre più grandi e inquinanti, come quella di Smirne, su cui Greenpeace aveva acceso i riflettori nel 2019, trovando rifiuti con etichette, in lingua italiana, di marchi ben noti. “Servono strumenti legislativi che coprano l’intero ciclo di vita della plastica, della quale – scrive Greenpeace – bisogna ridurre di almeno il 75% della produzione totale entro il 2040. Per questo, occorre al più presto vincolare le grandi multinazionali a vendere sempre più prodotti sfusi o con packaging riutilizzabile”.

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