Dopo la tempesta il paesaggio è sempre familiare, in Italia come in Spagna: puntuale arriva lo scaricabarile tra le classi dirigenti, l’uso politico della disperazione degli abitanti che hanno perso tutto (un familiare, la casa, quello che c’era dentro). Non c’è solo il bastone vero e proprio a colpire sulla schiena il premier Pedro Sànchez, costretto dai suoi servizi di sicurezza ad abbandonare la visita istituzionale nel paese devastato di Paiporta, poco fuori da Valencia, per evitare un linciaggio. C’è anche quello metaforico della campagna avviata dalla destra estrema accompagnata da un lungo silenzio (interrotto solo oggi) di quella più moderata dei popolari. Altro che “unità” e “collaborazione”, come si dice in questi casi e come aveva raccomandato nelle prime ore dell’emergenza il re Felipe, il quale vestito con una tuta militare aveva promesso tutti i mezzi possibili.
Mentre l’associazione neonazista Revuelta rivendica di aver guidato le insurrezioni di Paiporta – il lancio del fango e le grida a suon di “Asesinos!” all’indirizzo del sovrano e del premier socialista -, il sindacato di Vox – Solidariedad – offre i suoi avvocati a chi sarà identificato, multato, arrestato per essere passato dalle parole ai fatti, cioè aver preso a pugni, calci e sprangate l’auto del presidente del governo, Pedro Sánchez (video). “Comprendiamo perfettamente l’indignazione degli spagnoli nei confronti di un presidente che li ha umiliati” dicono. Alle proteste hanno partecipato molti cittadini qualunque: tra i video più visti in Rete di quelle ore c’è quello di una ragazza che parla, con grande compostezza e stivali sporchi di fango, faccia a faccia con la regina Letizia che a sua volta cerca di parlarle. E la rabbia contro i reali, contro il premier socialista, contro il governatore popolare era alimentata dall’inopportunità di una visita che anziché sostegno visibile dei vertici dello Stato alla popolazione è stato visto subito come una inutile passerella che avrebbe finito solo per intralciare il lavoro quando ancora è ignoto il numero dei dispersi.
Ma sullo sfondo compare il tentativo della destra di caricare sulle spalle del governo progressista – già infragilito negli ultimi mesi sotto i colpi di scandali e indagini più o meno grandi – il disastro del territorio valenciano. I giornali spagnoli contano 7 movimenti di estrema in quelle zone. Sulla maglietta di un giovane compariva la scritta “División Azul“, lo squadrone che Francisco Franco – dittatore della Spagna per 40 anni – inviò in appoggio ai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Un altro dei manifestanti – fotografato mentre affrontava il sovrano – aveva sul volto un tatuaggio (il numero 22) che secondo la numerologia neonazi sono i 22 “martiri” di Norimberga, cioè i gerarchi nazisti processati dopo la fine della guerra. L’interessato in un video ha negato di essere affiliato ad alcun partito, senza spiegare peraltro cosa significa 22. “Alvise Pèrez è l’unico che mostra la sua faccia” si è sentito urlare durante le contestazioni ai reali e al premier. Pèrez è il leader di Se acabò la fiesta (La festa è finita), piccolo movimento di ultradestra, rivelazione delle ultime Europee, dopo essere nato e cresciuto sui social grazie ai post del suo leader sempre al limite tra la bufala vera e propria e la mistificazione soprattutto sulla scia dei casi di cronaca (anche questo per gli elettori italiani sarà come un déjà vu). E anche Alvise, come lo chiamano tutti in Spagna (col solo nome di battesimo), è stato visto proprio a Paiporta in queste ore. “Io sono di Paiporta – ha sottolineato in tv la sindaca della cittadina simbolo del disastro, Maribel Albalat Asensi – E dico che c’era gente di qui ma c’era anche tanta gente che è venuta da fuori”.
Una vecina se encara con Alvise Pérez en Paiporta: “No pintas nada, neonazi de mierda”.
En toda la pvta boca. pic.twitter.com/IrtzpIrrQY
— Noa Gresiva (@NoaGresiva) November 3, 2024
Fin qui l’ala più estrema del fronte conservatore che ora come sempre ha nel mirino e e tenta di abbattere Sànchez con una comunicazione che via via si inacidisce anche per il fatto che finora non c’è mai riuscita attraverso le urne. Ma anche il Partito popolare ora tenta di ribaltare la narrazione dopo giorni in cui al centro delle critiche è rimasto Carlos Mazòn, esponente del Pp e governatore della Comunità Valenciana: per ore e ore è rimbalzato sulle bacheche social il video in cui – mentre partecipa a un convegno sul turismo sostenibile, beffa nella beffa – assicura che alle 18 la perturbazione avrebbe abbandonato l’area di Valencia e tutto sarebbe finito per il meglio. Proprio a quell’ora, invece, la cresta più alta dell’inondazione avrebbe cominciato ad affondare interi paesi e centinaia di persone. La Generalitat Valenciana guidata da Mazòn è accusata di non aver dato l’allerta in tempo, di aver ignorato i ripetuti allarmi dell’Agenzia meteorologica nazionale, quelli sulle esondazioni dei primi corsi d’acqua (intorno all’ora di pranzo), di non aver deciso di chiudere uffici e aziende. E’ lo stesso Mazòn che ha rifiutato aiuti sottoforma di vigili del fuoco offerto dalla Catalogna, dalla Navarra, dal Comune di Bilbao.
E poi – anche questa storia ormai nota – è sempre l’istituzione regionale, che ha ampi margini di autonomia nella Spagna “nazione delle nazioni“, ad aver soppresso un anno fa l’Unità di emergenza valenciana: è stato uno dei primi atti del centrodestra vittorioso alle Regionali e avvenne proprio su spinta energica di Vox, che a quell’epoca faceva ancora parte della maggioranza su cui si reggeva il governo regionale. Nella polemica politica dei progressisti – l’Uev era stata istituita dall’alleanza socialisti-sinistra – è stato sottolineato che quell’atto di smantellamento dell’organismo per le urgenze fu seguito dallo stanziamento di 17 milioni per la corrida. In quelle settimane la sinistra di Compromìs – partito valenciano ecologista – aveva accusato Mazòn di dare spazio al “circo negazionista” (il riferimento era proprio a Vox). Insieme all’unità per le emergenze, la Generalitat a guida centrodestra aveva eliminato anche l’Agenzia per il cambiamento climatico. In un colpo solo, insomma, sono stati cancellati i due organismi che devono dare assistenza professionale e integrata in prima linea e poi che devono promuovere politiche di prevenzione. E’ un’istantanea dei politici di tutto il mondo e delle loro risposte al clima che cambia: sia quelle necessarie per far fronte all’emergenza sia quelle di lungo orizzonte per mitigare gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti. E il cortocircuito è completato: da una parte vengono usati i disastri, i danni incalcolabili e le centinaia di vittime soltanto come piedistallo dei comizi, dall’altra con i loro atti amministrativi negano che le cause principali di quei disastri e di quelle morti siano un affare politico, da affrontare attraverso le loro azioni di governo, prima che la catastrofe avvenga, tentando di attenuarne le conseguenze.
Ora perfino Mazòn, il governatore della Comunità Valenciana, cullato dalla scia un po’ confortevole della rivolta di ieri in mezzo al fango contro il capo del governo, prova a girare la partita dalla sua e pure la frittata. Dice che l’allerta della Regione sui cellulari è arrivata tardi (cioè mentre già si contavano i primi morti) perché la Confederación hidrográfica del Jùcar, cioè l’Autorità di bacino del principale fiume di Valencia, ha “disattivato per tre volte l’allerta idrografica”. Il ministero della Transizione ecologica ha risposto che gli allarmi non si possono “attivare né disattivare” anche perché le autorità di bacino “non lanciano allerte: quello lo fanno i servizi di emergenza regionali“. Mazòn usa il principale capo d’imputazione nei confronti del premier Sànchez: non aver preso le misure necessarie addirittura martedì, prima dell’arrivo della grande tempesta. Gli ha risposto il generale Francisco Javier Marcos, a capo dell’Unità Militare di Emergenza, a Madrid: “Chi dirige l’emergenza e dice dove andiamo oppure no è la Comunità autonoma”. Per Mazòn, insomma, forse è già troppo tardi per ribaltare il risultato: il leader del suo stesso partito, il Pp, Alberto Núñez Feijóo, ha detto che i popolari voterebbero a favore di una dichiarazione di emergenza nazionale. La traduzione? Togliere dalle mani di Mazòn il comando della gestione della crisi.