di Fiore Isabella

Signor Presidente, mi sono premurato, prima di afferrare la tastiera, di rileggere, per esserne confortato, che “…scrivere al Presidente della Repubblica è un modo per far sentire la propria voce e per esprimere le proprie preoccupazioni, opinioni e suggerimenti riguardo a questioni di interesse pubblico”. E, penso, che anche scegliere di insignire qualcuno anziché un altro del titolo di “Cavaliere del Lavoro” non sia una questione privata ma di marcato interesse pubblico.

Lo è a maggior ragione la nomina a cavaliera del lavoro della figlia, signora Marina Berlusconi, del già nominato, e post mortem da più parti santificato, cavaliere di Arcore. Mi sarei aspettato, Presidente, che tra i tanti insigniti ci fosse qualche lavoratore, magari straniero e anche nero, che ogni mattina si alza alle cinque per raggiungere il cantiere da dove, la sera, non è sicuro di uscire vivo.

Non vorrei essere frainteso, Presidente, ma ho la sensazione, e mi richiami anche pesantemente se sbaglio, che a monte di alcune scelte, anche di carattere onorifico, ci sia il tarlo del classismo che induce a pensare che l’etica del “Marchese del Grillo” non sia soltanto una licenza filmica. Mi permetta, Presidente, un riferimento personale: figlio di emigrante, a 14 anni mi iscrissi al primo Liceo Scientifico della mia città ed eravamo abbondantemente oltre il 1962, anno della riforma che istituì la scuola Media Unica.

Nonostante quella riforma epocale del sistema scolastico, l’idea che il figlio di qualcuno potesse frequentare i licei e i figli di nessuno solo qualche scuola professionale era dura a morire. Un’idea che si materializzava ogni volta che mia madre incontrava i miei professori, molti dei quali non le parlavano di me, dei miei percorsi di apprendimento, delle potenzialità che contenevo e delle criticità di cui soffrivo; le suggerivano di mandarmi dal “mastro” (barbiere o ciabattino era indifferente) per imparare un mestiere, perché la Scuola non era fatta per me.

Signor Presidente, si insinuò in me la cosa più brutta che potesse capitare ad un ragazzo nella fase dell’adolescenza, la perdita dell’autostima, da cui mi sono affrancato quando sono diventato boy scout e poi maestro educatore. Oggi a 72 anni Le assicuro che non provo alcuna nostalgia per quegli istruttori del liceo che ti elogiavano e gratificavano se eri figlio del medico o del notaio e ti denigravano, consegnandoti all’ultimo banco, se eri figlio di emigrato o di contadino.

Oggi sono qui, dopo aver chiuso da insegnante di Scuola Primaria la mia esperienza quarantennale di lavoro; molti anni dei quali passati con bambini con handicap a cui, sistematicamente e a prescindere dal livello dei loro assi cognitivi, non ho mai smesso di dire “siete stati bravi!”.

Sì, Signor Presidente, dire bravo a chi viene trattato da ultimo e finisce per sentirsi tale vale quanto il titolo di cavaliere ai figli di qualcuno. Forse di più!

Grazie per l’attenzione, Signor Presidente, e tanti auguri di buon lavoro.

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